Il mondo delle Scienze Motorie, l’università e il lavoro: un sistema da rivedere e migliorare?
Crediamo sia una buona idea produrre un articolo del genere perché francamente ne sentiamo la necessità all’interno di questo vasto mondo delle scienze motorie di cui facciamo parte. Sì, molti di noi hanno avuto diverse esperienze sia nell’università che nel settore privato. Abbiamo fatto un mashup di alcune storie di vita vissuta intervistando dei colleghi anche di settori differenti da quello specifico del movimento.
Desideriamo scriverle perché frutto di confronti avvenuti nelle città del nostro Bel Paese. Le conversazioni sono avvenute con il proposito di migliorare le cose, anche se nessuno parla apertamente di certe tematiche, perché pensiamo che non fare nulla di fatto significhi incoraggiare determinate consuetudini.
Siamo sicuri che le situazioni di cui parleremo siano accadute solo in una parte del mondo accademico e di quello privato. Infatti dedichiamo questo articolo a tutti coloro i quali ogni giorno vi lavorano creando valore e vera ricchezza con tanta dedizione e passione!
Partiamo dal principio.
Una persona decide di fare domanda di dottorato. Riesce a vincere una borsa e inizia il suo percorso di ricerca vedendosi, in futuro, come docente all’Università – ci racconta durante una cena.
Oggi per chiunque voglia entrare nel mondo accademico, non solo in Italia, contano essenzialmente due fattori:
- I titoli di studio posseduti ed in particolare il dottorato di ricerca fornisce un punteggio elevato;
- Un buon numero di pubblicazioni. Più se ne hanno meglio è, soprattutto se le proprie ricerche hanno un impatto elevato e un adeguato numero di citazioni da parte di altri studi.
Inoltre nei meriti rientrano le mansioni ricoperte nella propria carriera oppure se si è riusciti a portare innovazione nel proprio settore, come ad esempio il deposito di brevetti.
Teniamo a mente che da alcuni anni a questa parte si presta molta attenzione al numero di pubblicazioni e il mondo delle scienze motorie non sfugge a questa consuetudine.
Qui nasce un fatto curioso, quantomeno da analizzare.
Una volta svolta la ricerca è il momento di assegnare i nomi di chi vi ha partecipato in modo da poter godere giustamente del merito maturato con il proprio lavoro. Il riconoscimento non è però uguale per tutti, infatti segue una scala di importanza: decresce a seconda dell’ordine di scrittura dei nomi nell’articolo, in sostanza il primo avrà più valore del secondo e così via fino all’ultimo.
Cosa succede a questo punto?
Spesso il primo nome non è di colui che ha davvero svolto la ricerca, ma vengono ordinati con una priorità differente. Ad esempio per “vecchiaia” o “ruolo ricoperto”: questi spesso avranno l’onore di essere il “primo nome”. Ripetiamo: il primo nome riceverà un punteggio superiore e questo è molto importante soprattutto per chi partecipa ai concorsi.
Lasciamo perdere ogni nostro personale giudizio e invitiamo a proseguire la lettura con un dettaglio che attira la nostra attenzione.
Durante una cena un dottorando ci racconta che alcune ricerche sono il frutto della rielaborazione del medesimo studio.
Cosa vuol dire?
Che la ricerca in questione viene scritta una seconda volta (cambiando un po’ le parole, ma senza alterarne il senso) e diventa così idonea per differenti riviste scientifiche. Una stessa ricerca diventa così di fatto una pubblicazione multipla.
In altre parole il soggetto scriverà sul curriculum più pubblicazioni, frutto della singola ricerca svolta.
La domanda nasce spontanea: la pubblicazione non dovrebbe riportare il nome di coloro che hanno svolto effettivamente la ricerca e del loro coordinatore?
Così ritroviamo ragazzi con meno di trent’anni che possiedono un curriculum con un numero enorme di pubblicazioni. Questo permetterà con “sufficiente semplicità” di superare un concorso per accedere alle varie cariche universitarie.
Non giudichiamo il metodo, ma francamente non lo comprendiamo molto, specie in un luogo come quello universitario dove i meriti personali dovrebbero ricoprire un certo peso.
Voi direte: finisce qui?
No. Ad esempio per l’approvazione di un uno studio scientifico esistono dei comitati specifici.
A volte capita che l’elaborato oggetto di revisione venga rimandato indietro con il consiglio di inserire nella bibliografia dello studio una o più ricerche appartenenti a quel tema specifico.
Qual è il vantaggio? Aumentare il numero di citazioni dello studio – quello consigliato dai revisori – a vantaggio del prestigio in ambito accademico. Insomma più vi citano e più il lustro della ricerca cresce: un po’ come accade con la condivisione dei post sui vari social network.
In verità contano altri fattori come ad esempio i metodi di indagine utilizzati e i metodi statistici. Anche qui, ribadiamo come il meccanismo sia veramente strano.
Invece da quello che si evince è che alcuni dottorandi e dottorati siano come scribi egizi in una frenetica rincorsa al “collezionare” il maggior numero di pubblicazioni possibili. Sembra la descrizione di un mondo dove ci sia un premio per “il miglior collezionista di pubblicazioni”.
Ci chiediamo ora se questo fenomeno possa influenzare la qualità dell’elaborato stesso.
Ma tutti gli studi servono, poi, a produrre brevetti ed evidenze scientifiche per poter entrare nell’università.
Ma la storia prosegue. Giustamente dopo il dottorato i ricercatori aspettano di presentare la domanda come professore universitario o docente a contratto e ovviamente nessuno impedisce di partecipare al concorso! Qui ogni tanto succedono altre cose curiose, così ne facciamo un elenco senza dare un giudizio.
Alcune volte si riceve il suggerimento di non prendere parte al concorso.
Altre volte la commissione esaminatrice può assegnare un certo numero di punti aggiuntivi, a loro discrezione, indipendentemente dal curriculum e dalle pubblicazioni.
Ogni tanto capita di leggere un bando la cui descrizione dei requisiti è così precisa al punto da essere un vero e proprio curriculum.
Raramente alcuni requisiti accessori, ma con un peso magari determinante, come ad esempio l’essere stato cultore della materia per cui ci si candida non ha improvvisamente più alcun valore.
Da liceali si ha l’idea che l’università sia un luogo di confronto e crescita. Qui i migliori intelletti avrebbero la possibilità di migliorare la professione grazie a progetti con importanti finalità.
In tutti gli Atenei si verificano problemi a causa della scarsa novità all’interno dei programmi didattici. Parte del mondo accademico parrebbe un enorme elefante rallentato da una serie di procedure che lo rendono assonnato e poco responsive nei confronti di un mercato lavorativo più fluido e veloce.
Quando un nuovo corso viene inserito nei piani carriera spesso soffre già di obsolescenza. Alcuni docenti sono fermi al ventennio “1980-2000”. Il disco della lezione è stato registrato tempo fa e si continua a replicarlo a distanza di decenni. Notiamo con stupore che il calendario però è giunto all’anno 2018. Nessuno rinnega quel periodo, ma deve essere considerato in senso evolutivo, dovrebbe portare alla capacità di aggiornarsi e di aggiornare.
Ad esempio nel mondo delle scienze motorie si parla ancora di “ROM completo e incompleto” o si inneggia a slogan del tipo “l’iperplasia muscolare negli esseri umani non esiste”. Certe tematiche sono davvero ferme ai tempi della scoperta dell’America.
Purtroppo gli studenti sono più impegnati a rivendicare l’esclusività del loro ruolo in palestra o l’inserimento nel mondo sanitario invece di pretendere un aggiornamento dei programmi e potersi davvero distinguere nel mercato lavorativo (invece di riempire di polemiche sterili i gruppi dei social network).
Il vero problema è proprio questa poca aderenza dei programmi al settore del lavoro. Infatti è necessario se non urgente colmare il gap esistente tra un laureato del mondo delle scienze motorie e un non-laureato. Purtroppo ad oggi la differenza tra gli uni e gli altri è così esigua che non ci si può permettere di “pestare i piedi” per ottenere un qualsiasi tipo di riconoscimento. Tanto è vero che gli studenti preparati sul serio sono rari, così come sono comuni i leoni da tastiera…
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Tag:scienze motorie
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