Il Personal Trainer, riflessioni sulle qualità del professionista
Quali sono le qualità e le caratteristiche fondamentali che deve possedere chi vuole fare il Personal Trainer? Di solito a questa domanda si risponde con la peculiarità che ognuno di noi utilizza con maggior facilità.
Spesso nei corsi di formazione alcuni rispondono che l’aspetto commerciale sia quello fondamentale, altri quello della preparazione tecnica. Poi sentiamo affermare come la capacità di approccio “emozionale” sia la via migliore e ancora ci sarà chi ritiene che l’aspetto fisico sia irrinunciabile rispetto a quello culturale e viceversa.
In realtà queste caratteristiche hanno ognuna il loro peso nell’attività del personal trainer e andrebbero utilizzate al momento giusto con il cliente appropriato. Ma per essere dei veri professionisti la situazione è ben più complessa di come descritta fino a qui. Pertanto in questo articolo parleremo delle numerose peculiarità da “allenare” per approcciarsi a questa professione in modo serio.
Il personal trainer, gli obiettivi
Partiamo da un concetto di base: il personal trainer deve essere un professionista altamente qualificato e questo richiede di possedere solide basi, una cultura trasversale, una mentalità aperta ed esperienza pratica. Inoltre è doveroso aggiornarsi: dall’auto-formazione passando per i workshop fino a prendere lezioni private da professionisti specializzati.
Il principale compito del personal trainer dovrebbe essere quello di aiutare il cliente a realizzare i suoi obiettivi, vediamo le loro caratteristiche.
Il personal trainer e le caratteristiche di un obiettivo
Un obiettivo per essere adeguato dovrebbe essere di tipo “C.A.R.S.” come ci suggeriscono Schmidt e Wrisberg nel loro libro sull’apprendimento motorio. L’acronimo si riferisce alle seguenti parole:
Challenging, ovvero Stimolante
Il personal trainer dovrebbe proporre esercizi che siano vicini alla quotidianità o al passato sportivo del cliente in modo da stimolarne l’interesse. Anche l’ambiente di lavoro dovrà essere adatto: per un soggetto che in passato faceva nuoto può risultare inopportuno allenarlo in mezzo a chi pratica cross training!
Ed ancora, la signora anziana e sedentaria che sale i cinque scalini per raggiungere l’ascensore apprezzerà maggiormente un esercizio di step-up piuttosto di una opprimente leg press! Inizialmente utilizzeremo uno step basso e 2 piccoli manubri da 1 kg, un gesto vicino alla sua quotidianità.
Attainable ovvero Ottenibile
Questa caratteristica è riferita al risultato. Infatti è necessario che il personal trainer progetti il risultato assieme al cliente, in modo schietto e ragionato, evitando di proporre addominali scolpiti a giugno quando siamo ormai a maggio!
Realistic ovvero Realistico
Questa caratteristica è riferita alla possibilità di praticare realmente determinati esercizi. Questi andranno scelti valutando le reali condizioni fisiche e psicologiche del cliente. Proporre un box jump ad una ragazza in sovrappeso che non ha mai fatto attività fisica oltre che deleterio per la salute è sicuramente umiliante per la difficoltà tecnica. Inoltre ricordiamo che i soggetti in sovrappeso sviluppano una maggior facilità di lesione ai tendini e ai legamenti proprio a causa della loro condizione infiammatoria sistemica.
Specific ovvero Specifico
Questa caratteristica è riferita alla specificità dell’allenamento. Attenzione però, questa è l’unica a fare eccezione, poiché l’allenamento diventa tanto più specifico man mano che il cliente acquisisce esperienza. Infatti sarebbe assurdo proporre un circuito metabolico, magari con metodica P.H.A. oppure un H.I.I.T. (molto specifici e intensi!), ad un sedentario senza passare da un opportuno periodo di condizionamento fisico. In questo caso meglio utilizzare un leggero concurrent training che sebbene poco specifico sia per l’ipertrofia muscolare che per la potenza aerobica è più adatto al nostro scopo di adattamento all’attività fisica.
Il personal trainer e le competenze di base
Per realizzare gli obiettivi è necessario possedere forti competenze di base, vediamo di seguito il perché.
Innanzitutto un buon personal trainer deve conoscere il funzionamento del corpo umano, dunque la fisiologia ci viene in aiuto. Ad esempio sapere le caratteristiche di un allenamento lattacido rispetto a uno alattacido ci fa banalmente capire per quale motivo i tempi di recupero e i carichi devono essere di un certo tipo. Spesso nelle palestre si sentono professionisti dire ai neofiti di andare a sensazione per gestire il recupero, questa è una pratica più commerciale per gratificare il proprio cliente. La “sensazione” può essere gestita più che altro da chi ha una elevata esperienza di allenamento e un’ottima conoscenza del proprio corpo, non certo da un principiante!
L’anatomia non ci insegna solo la localizzazione dei muscoli, anzi partire dalla loro origine e inserzione è davvero un modo noioso di impararla. Per un professionista sarà utile praticare un esercizio, ovvero eseguire un movimento per apprezzarne il coinvolgimento muscolare e individuare quelli utilizzati. Adesso è il momento di impararli su un libro e chiedersi il perché hanno quella forma, quel decorso e quelle inserzioni.
Insomma chi vuol fare il personal trainer dovrebbe allenarsi con il libro di anatomia in mano, ponendosi numerose domande!
Questo modo ci permetterà di capire il perché alcuni esercizi siano opportuni sugli atleti e meno nei principianti.
Infine è possibile avvicinarsi alla biomeccanica per comprendere come le nostre strutture fisiologiche reagiscono agli stimoli esterni. Insomma è una materia fondamentale per redigere anche una semplice scheda di sala pesi.
Il personal trainer, le competenze specifiche
Una volta apprese le nozioni di base è utile imparare le metodiche di allenamento le quali derivano dall’esperienza pratica di professionisti del settore. Ad esempio per citarne alcuni: Michael Boyle per l’allenamento funzionale, Bompa e Haff per la periodizzazione dell’allenamento, Mujika per il tapering e Reg Park che utilizzava il 5 x 5 per allenare la forza.
Ma cosa serve sapere tutte queste cose per diventare personal trainer? A saper scegliere tra le varie discipline specifiche e soprattutto adattarle. Infatti queste metodiche sono state utilizzate su soggetti molto allenati oppure su agonisti, pertanto devono essere calibrate rendendole più gestibili a chi frequenta la palestra 2-3 volte la settimana.
Facciamo un esempio. Proporre ad un neofita un Piramidale “10-8-6-4” al secondo mese per “prepararlo alla forza” o fargli fare “ipertrofia” o peggio come mi è capitato di sentire “fargli fare qualcosa di divertente” non ha alcun senso. Sicuramente sarà in quella fase in cui sta sviluppando la coordinazione intramuscolare e intermuscolare, quindi di fatto non è pronto per un simile protocollo.
Ebbene esistono altre metodiche, anche più divertenti, ma bisogna conoscerle e soprattutto bisogna essere onesti con i propri clienti proponendo loro un percorso da sviluppare nel tempo!
Il personal trainer, le competenze trasversali
Per poter applicare le competenze di base e quelle specifiche è necessario saper usare gli strumenti che la tecnologia ci mette a disposizione. Questi mezzi non sono sempre direttamente collegati al lavoro specifico, ma risultano spesso indispensabili, vediamone le ragioni.
Saper utilizzare ad esempio un foglio di calcolo permette di essere più veloci riducendo la possibilità di commettere errori. Ovviamente non impedirà, durante una plicometria, di applicare una formula per calcolare la massa grassa per i maschi usandola per le femmine!
Ancora l’utilizzo di un word processor ci permetterà di presentare schede professionali senza correzioni, macchie di caffè o peggio errori ortografici. Ovviamente non ci eviterà l’errore di scrivere rest al posto di recovery nell’indicazione della pausa fra una serie e l’altra!
Infine utilizzare un’ App che, ad esempio, traccia la direzione del bilanciere può essere di supporto per aiutarci a comprendere quali siano i punti di miglioramento di chi alleniamo.
Il personal trainer, come rimanere aggiornati?
Le modalità per rimanere aggiornati sono numerose, ma non si escludono tra loro, anzi possono essere percorse in modo parallelo!
Come prima cosa possiamo pensare ai corsi per istruttori di fitness e personal trainer, oppure ai workshop di qualità tenuti possibilmente da veri esperti del settore con basi accademiche, oltre che esperienza sul campo e nell’insegnamento. Questo permetterà di confrontarvi con altri colleghi, un modo per crescere e apprendere dai differenti punti di vista.
Inoltre è possibile imparare (se non lo si è già appreso all’Università) ad auto-aggiornarsi facendo delle ricerche sugli studi scientifici, ad esempio, usando PubMed.
Ancora è possibile abbonarsi ad una particolare rivista scientifica: nel nostro settore sono davvero numerose e non escluderei qualche pubblicazione estera.
Possiamo prendere delle lezioni private, pratiche e teoriche, da un altro collega di un settore specifico: un powerlifter? Un allenatore di basket? Scegliete voi ciò che vi è utile.
Infine è importante andare a rileggere i vecchi libri dopo aver fatto esperienza: le informazioni assumono un nuovo valore proprio perché l’esperienza fatta cambia il nostro modo di vedere le cose. Le nuove informazioni potranno essere utilizzate in modo diverso oppure applicate in modo più adeguato!
Il personal trainer, le capacità di utilizzare gli strumenti di lavoro
Il primi strumenti di lavoro per fare il personal trainer sono i nostri occhi: saper osservare!
La capacità di osservare ci permette di scegliere gli strumenti adeguati per poter effettuare una valutazione del cliente. A volte gli strumenti non devono per forza essere dei test, facciamo un esempio.
Mettereste mai una persona con un importante sovrappeso in mutande per effettuare una plicometria rischiando di umiliarla? Direi proprio di no, magari è meglio utilizzare la bioimpedenziometria se disponiamo dell’apparecchiatura. Ancora in alcuni casi sarà addirittura necessario evitare qualsiasi tipo di misurazione perché possono dare la spiacevole sensazione di essere sottoposti ad un giudizio. In questo caso fermiamoci a semplici domande come chiedere al cliente quali siano le sue aspettative. Forse faremo un “giro più largo”, ma sicuramente l’avvio all’attività fisica non sarà traumatico! Insomma è necessario possedere una buona dose di sensibilità!
Una volta comprese le necessità del cliente e le reali possibilità di allenamento dovremo programmare gli obiettivi e ovviamente verificarli periodicamente. Il momento della verifica potrà essere utilizzato per fare il punto della situazione e costruire un percorso davvero personalizzato nei dettagli.
Il personal trainer e gli altri professionisti
Un buon professionista non è un tuttologo. Siamo invasi da personal trainer che si spendono in “consigli” alimentari, manovrano i propri clienti come se fossero fisioterapisti e fanno diagnosi mediche dalle malattie esantematiche e quelle psichiatriche…
Bisogna imparare a indirizzare i nostri clienti verso altri professionisti soprattutto se ci viene chiesta una prestazione di cui non siamo esperti. Riconoscere la professionalità altrui agli occhi del nostro cliente ci rende maggiormente autorevoli: è una condizione da non sottovalutare!
Ma spesso parecchi personal trainer confondono la consulenza con il consiglio inserendole magari in un contesto di tariffe “agevolate”: questo atteggiamento non è deontologicamente sostenibile e abbassa il valore percepito dagli utenti della categoria a cui apparteniamo!
Chiariamo un concetto di base: Il personal trainer fornisce consulenze, e gli amici danno consigli!
I consigli sono gratuiti e infatti hanno proprio quel valore perché il nostro “amico” non è un esperto ed esprime un parere assolutamente personale in base alla sua esperienza di vita. Al contrario le consulenze sono a pagamento proprio perché erogate da una figura specifica ed esperta del settore.
Che differenza c’è, allora, tra consulenza e consiglio oltre al prezzo?
La consulenza è un parere su una specifica questione per la quale siamo qualificati, abbiamo esperienza e su ci cui aggiorniamo La consulenza porta ad una soluzione, di solito, con minimo rischio e massimo beneficio (almeno si spera!).
Il consiglio al contrario è un parere dal carattere amicale dato dall’esperienza non specifica, meno oggettivo e spesso fornito per “tranquillizzare” il nostro interlocutore.
Ebbene “fare l’amico” potrebbe essere un buon modo per creare un ancoraggio positivo con il cliente, ma così si generano due problemi:
- Il rapporto con il cliente rischia di essere troppo intimo, si perde di autorevolezza e i pareri professionali non hanno più un carattere oggettivo, ma “affettivo”;
- Si creano i presupposti per favorire l’insorgenza di problemi fisici soprattutto nel lungo periodo.
Un esempio? Continuare a consigliare l’assunzione di integratori, solo perché così il cliente è più tranquillo (e spesso il personal ci guadagna), senza mai effettuare un wash-out può creare le condizioni per lo sviluppo di malattie legate all’apparato digerente! Ancora proporre una dieta sotto le spoglie di “consiglio” che risulta evidentemente scopiazzata da libri “divulgativi” sull’alimentazione oppure generata dalla collezione raffazzonata di informazioni sparse su internet non è professionale.
Spesso questi “consigli alimentari” funzionano perché le precedenti abitudini erano così sbagliate che qualsiasi, ripeto qualsiasi, cambiamento provoca un iniziale effetto benefico, ma sono insostenibili nel lungo periodo, infatti dopo poco tempo si verifica uno stallo dei risultati oppure tornano a peggiorare…
Proprio per queste ragioni esiste una legge del 24 maggio 1967, numero 396, dove l’articolo 3 recita quanto segue:
“Formano oggetto della professione di biologo: la valutazione dei bisogni nutritivi ed energetici dell’uomo, degli animali e delle piante”
Ma cosa vuol dire la valutazione dei bisogni nutritivi?
Molti personal trainer pensano che si possano redigere “consigli alimentari” senza scrivere le grammature così da non assumere il carattere di classica “dieta” che come sappiamo deve essere prescritta da una delle figure professionali autorizzate.
Ebbene molti scrivono “una porzione oppure una porzione e mezza di pasta”, in realtà la porzione di pasta è classificata e identifica una certa quantità. Ad esempio per la pasta secca si va dai 60 agli 80 grammi. Questo è un modo per aggirare il concetto di “dieta classica”, ma in realtà si sta valutando che il soggetto possa assumere una quantità di pasta precisa e di fatto si sta valutando i bisogni nutritivi ed energetici! Insomma si opera come biologo, ma non sarebbe un problema se si disponesse dei titoli e delle necessarie abilitazioni. Ricordiamoci che esiste un percorso preciso per diventare nutrizionista.
E’ doveroso segnale che la situazione reale vede la proliferazione di numerose figure vicine al mondo della nutrizione: coach alimentari, educatori alimentari e varie categorie di “nutrizionisti alternativi”. Questa situazione genera maggior confusione nel settore lasciando zone grigie in cui operare, favorito anche dal fatto che i clienti che si rivolgono a questi soggetti non hanno gli strumenti adeguati per giudicare questi professionisti. Il rischio è sempre sulla salute oppure se fortunati al massimo non si ottiene alcun risultato!
Ebbene fino a quando non ci sarà un riordino della legislazione, che risulta urgentemente necessario visto i fatti, è necessario operare all’interno dei binari dell’attuale legge, almeno per una questione di professionalità.
La soluzione al momento è semplice: collaborare con figure professionali autorizzate ed esperte del settore e soprattutto che abbiamo a che fare con sportivi.
La capacità di indirizzare verso altri professionisti migliora con l’esperienza ed è sostenuta dal continuo aggiornamento sulle materie collegate al nostro settore. Mi spiego meglio.
Conoscere bene come impostare la tecnica dello squat è fondamentale e richiederà NUMEROSE ore di pratica e studio, ma sapere che gli omega 3 possono interferire con la coagulazione del sangue ci permette di non spingersi in consigli di integrazione assurdi senza praticare il wash-out. Ebbene indirizzando il nostro cliente verso un nutrizionista sportivo questo inserirà l’eventuale integrazione all’interno di un contesto ben preciso. Ricordiamoci che esistono alimenti molto ricchi di omega 3 che possono portare, assieme “all’improvvisata integrazione”, a gravi problemi di salute!
Il personal trainer non è una figura sanitaria, a meno che possieda i titoli e le autorizzazioni, ma salute e benessere devono essere i principi a cui fare riferimento!
Il personal trainer, le capacità personali
Una delle capacità personali è quella di sapere accogliere le persone e di conseguenza saperle ascoltare per comprendere i loro bisogni.
Per realizzare questa condizione è necessario capire lo stato d’animo altrui, ovvero essere empatici.
Questo non vuol dire che se il cliente è triste ci mettiamo a piangere assieme a lui, piuttosto ci serve a rendere nostra la sua condizione regolando di conseguenza il nostro linguaggio e il nostro comportamento. Sarebbe abbastanza imbarazzante accogliere con una grossa pacca sulle spalle il cliente domandandogli in tono scherzoso se gli è morto il gatto, ma scopriamo che è morto veramente!
Inoltre la comunicazione adeguata ci permette di mediare le richieste del cliente, di motivarlo, di consigliarlo e soprattutto di educarlo. E’ proprio attraverso l’educazione nel tempo che il personal trainer smonta le credenze dannose e sbagliate sull’attività fisica che allontanano il cliente dal risultato.
Ancora la comunicazione adeguata ci permette di adoperare il linguaggio giusto: non è possibile utilizzare espressioni come “bella lì” con persone che passano la giornata in contesti in cui l’attenzione al linguaggio è fondamentale! Personalmente mi è capitato di sentire chiedere “com’è?” come forma di saluto rivolgendosi ad un’anziana signora mai incontrata prima…
Ma qual è il requisito fondamentale per evitare di incorre in errori legati alla sfera comportamentale, cognitiva e psicologica?
L’assenza di pregiudizi
Spieghiamoci meglio. Il personal trainer deve essere una persona dalla mentalità aperta e soprattutto deve evitare di cadere in due tipi di pregiudizio che personalmente ritengo dei “mostri”:
- Quello che a me piace chiamare “il pregiudizio di valore” portato dalla prima impressione. Quando un cliente entra in palestra etichettarlo come “tutto storto”, “ciccione”, “secco” oppure “grosso” crea un limite mentale. Immediatamente il pregiudizio sarà un filtro attraverso il quale passeranno le informazioni che ci giungono dal cliente. Questa condizione ci limiterà fin dal primo momento impedendoci, ad esempio, anche solo di redigere una scheda. Insomma faremo una scheda solo per un “secco” senza pensare ad altre possibilità!
- Quello che chiamo “Il pregiudizio tecnico”, portato dalla ferrea convinzione che solo il nostro metodo possa funzionare. Così si assistono a scene dove a tutti i clienti vengono proposte le stesse tecniche senza alcun adattamento. Sebbene esistano linee guida precise queste devono essere personalizzate poiché individui con caratteristiche simili risponderanno in modo differente!
Per star lontani da questa mentalità è necessario pensare al cliente come una persona con cui crescere assieme. Il suo miglioramento sarà anche il nostro miglioramento professionale.
Alcuni suggerimenti
Per poter sviluppare una forte professionalità è utile non cadere nella trappola del pregiudizio di conferma, ovvero accettare esclusivamente le informazioni che rafforzano le nostre convinzioni o le nostre esperienze, come ad esempio fare una cosa perché tutti la praticano oppure perché è pensiero comune…
Inoltre è necessario non cadere nell’effetto Dunning-Kruger, spesso chi meno conosce una materia più crede di esserne esperto, di fatto è una sopravvalutazione le proprie conoscenze! Ad esempio come tutti quelli che fanno diete dopo aver letto due cose su internet…
Non improvvisiamo e non standardizziamo gli approcci, abbiamo a che fare con la salute delle persone: ricordiamolo. Inoltre evitiamo di andare sempre incontro alle richieste del nostro cliente per gratificarlo. Questa è una forma di incertezza professionale del personal trainer che allontana dai risultati reali.
Non esiste un codice deontologico per la professione del personal trainer, ma una volta ricercate e coltivate le basi allora si potrà iniziare a migliorare gli aspetti legati di marketing.
Infine cerchiamo di capire cosa desidera il nostro cliente e creiamo in modo onesto e professionale le condizioni per realizzare il suo obiettivo!
Se nella lettura siete arrivati fino a qui potreste pensare che diventare un personal trainer sia davvero difficile. Non è proprio così, in realtà è complesso, ma il bello sarà imparare a gestire questa complessità!
A cura del Dottor Stefano Murisengo
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APPROFONDIMENTI:
- Baechle TR, Earle RW, Il manuale del personal trainer, Calzetti & Mariucci Editori.
- Schmidt RA, Wrisberg CA, Apprendimento motorio e prestazione, Società Stampa sportiva, 2006.
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Tag:business
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