Squat: come fare e analizzare il miglior esercizio per le gambe
Lo Squat: introduzione all’esercizio per eccellenza
Il nostro articolo ha come finalità quella di scomporre un esercizio ampiamente utilizzato: lo Squat.
Le Scienze Motorie studiano il movimento così da poterlo adattare agli obiettivi della prestazione sportiva. Di conseguenza, per migliorare la performance, ma anche per scopi riabilitativi o preventivi, risulta fondamentale effettuare questo tipo di analisi.
Per tale ragione abbiamo deciso di scrivere una guida introduttiva su un esercizio tanto conosciuto quanto trattato in modo superficiale sebbene sia considerato il miglior esercizio per le gambe!
Lo Squat è un esercizio che meriterebbe più attenzione di quanta ne venga data nei corsi di formazione ed è per questo che abbiamo pensato ad un corso sul condizionamento della forza e ad un corso sulla tecnica degli esercizi in palestra interamente online e visionabili da qualsiasi dispositivo.
Lo Squat: com’è utilizzato?
È un esercizio diffuso in tutti gli sport, da quelli di situazione come il calcio o la pallavolo fino al sollevamento pesi.
È inserito principalmente nei programmi di allenamento per potenziare gli arti inferiori, ma anche per valutare la forza dinamica della muscolatura coinvolta nel gesto atletico (Murphy & Wilson, 1997).
Lo squat nello sport
Alcune ricerche dimostrano come questo esercizio possa migliorare sia la potenza espressa che l’altezza del salto verticale (Abelbeck, 2002; Martel et al, 2005; Alberti & Silvaggi, 2006). Inoltre può incrementare la forza e la potenza degli arti inferiori come accade, ad esempio, nei giocatori di football che risultano migliorare i tempi di percorrenza dei 40 metri (Winchester et al, 2008; Zaras et al, 2013).
Nella riabilitazione
Lo Squat è utilizzato come strumento di riabilitazione per il recupero dell’articolazione del ginocchio.
Infatti una sua corretta esecuzione è proposta ai soggetti che presentano tensioni muscolari delle catene posturali (Van Dieen et al, 1999). Inoltre alcune ricerche mostrano come negli ambienti clinici sia proposto per la riabilitazione del ginocchio a seguito della ricostruzione del legamento anteriore (LCA) (Ohkoshi et al, 1991; Lutz et al, 1993).
Lo squat è consigliato rispetto alla leg extension, oppure ad altri esercizi a catena cinetica aperta per gli arti inferiori poiché produce forze di taglio inferiori in tutti gli angoli di lavoro (Ohkoshi, 1991; Lutz, 1993). Di conseguenza slow-squat e drop-squat vengono proposti come mezzi di riduzione del dolore nei casi di tendinopatia patellare (Jensen & Di Fabio, 1989).
Infine Jonsonn e Alfredson mettono in luce come lo squat eccentrico, a carichi gestibili, possa avere effetti positivi su sportivi affetti da tendinopatia rotulea (Jonsonn & Alfredson, 2005).
Squat ed effetti metabolici
A livello metabolico lo Squat può innalzare gli ormoni anabolizzanti come il testosterone e il GH rispetto all’utilizzo della leg press o della leg extension (Walker et al, 2011; Virgen, 2012).
Infine possiamo affermare che anche l’apparato cardiovascolare è influenzato positivamente da questo esercizio. La ragione alla base di quest’ultima affermazione è il coinvolgimento di molti gruppi muscolari e un aumento della frequenza e della gittata cardiaca.
È stata inoltre dimostrata la sua utilità nella prevenzione delle malattie cardiovascolari, del diabete e dell’obesità (Gotshalk et al, 2004).
Biomeccanica dello Squat: l’attivazione muscolare
Lo Squat è classificato come un esercizio a catena cinetica chiusa (Escamilla, 2000).
Poiché durante l’esecuzione del movimento i piedi sono fissi al suolo, questa condizione permette una distribuzione del carico su tutte le articolazioni coinvolte a vantaggio di un minor stress delle strutture legamentose (Palmitier et al, 1991).
Le strutture anatomiche più coinvolte sono la colonna vertebrale, le anche, le ginocchia, le caviglie e le articolazioni del piede: intertarsali, tarso-metatarsali e intermetatarsali, metatarso-falangee e interfalangee.
Le tre principali articolazioni coinvolte nei piegamenti delle gambe risultano:
- La coxo-femorale dell’articolazione dell’anca;
- La femoro-rotuleo-tibiale dell’articolazione del ginocchio;
- La tibio-tarsica e la peroneo-tibiale inferiore dell’articolazione della caviglia.
I distretti muscolari che partecipano al movimento di accosciata sono:
-
- I Glutei a livello dell’articolazione coxo-femorale;
- Gli Adduttori;
- Il Quadricipite composto da Vasto Mediale, Vasto Intermedio, Vasto Laterale e Retto Femorale. Agisocno sia sull’articolazione del ginocchio che sull’articolazione coxo-femorale assumendo la funzione di “muscolo” bi-articolare;
- I Muscoli Ischiocrurali che limitano le traslazioni sul piano sagittale della Tibia cooperano con il Legamento Crociato Anteriore;
- Il Tricipite della Sura (il Gastrocnemio e il Soleo);
- I tre Peronei;
- I muscoli del Core (i Paravertebrali e gli Addominali), con la funzione di stabilizzatori.
- I Muscoli della Schiena (Romboidei, Dorsali e Trapezio) con la funzione di stabilizzazione e sostegno.
Ogni movimento articolare condiziona tutto l’esercizio dello squat.
Hase e colleghi hanno visto come l’inizio del movimento sia condizionato da una de-attivazione degli erettori spinali e successivamente da un’attivazione del tibiale anteriore (Hase et al, 2004). Quest’ultimo è utile per mantenere la dorsi-flessione delle caviglie modificando l’equilibrio posturale (Cheron et al, 1997).
L’attivazione del tibiale anteriore viene supportata dal muscolo gastrocnemio e dal flessore plantare che assieme impediscono di cadere all’indietro e forniscono stabilità all’articolazione della caviglia (Hase et al, 2004). Tutto ciò avviene perché il quadricipite e gli ischiocrurali sono rilassati durante la fase iniziale dello squat, in quanto il cento di massa del bilanciere rimane pressoché invariato durante tutto il movimento di discesa (Dan et al, 1999).
Proseguendo con l’accosciata i muscoli della schiena, erettori spinali e lombari si attivano fortemente e rimangono tali fino alla completa chiusura del movimento. Inoltre la decelerazione è operata da quasi tutti i muscoli coinvolti. In questo momento avviene l’inversione del movimento: da quello eccentrico a quello concentrico con una forte partecipazione del quadricipite (Dionisio et al 2006).
Inoltre i glutei e i femorali seguono il movimento disattivandosi una volta oltrepassato lo sticking point.
Il centro di massa viene spostato verso la punta del piede a causa del movimento in avanti del ginocchio. Qui l’estensione del ginocchio è generata da una forte attivazione eccentrica del quadricipite.
I quadricipiti e i muscoli della schiena sono gli ultimi a disattivarsi ovvero quando le anche e le ginocchia sono completamente estese.
La posizione dei segmenti articolari nello Squat
Lo squat è un esercizio che coinvolge tutto il corpo, sia in termini di attivazione muscolare sia in termini di movimento delle varie articolazioni.
Durante l’accosciata tutti i vari segmenti corporei devono essere allineati per far sì che il centro di massa ricada sempre all’interno del piede. Di conseguenza esiste un’impostazione ottimale della testa e dello sguardo, un corretto setup delle ginocchia e dei piedi. Inoltre tutto è condizionato dalla posizione che la schiena assume durante l’accosciata.
La posizione della testa e la direzione dello sguardo
Tutto parte dalla testa… Una posizione scorretta del capo può causare un mancato allineamento del corpo e predisporre l’atleta a varie lesioni.
Inoltre la testa e il collo possono essere considerati il continuum della colonna vertebrale, di conseguenza la posizione della testa ha un effetto diretto sull’allineamento del corpo, indipendentemente dalla direzione dello sguardo (Fry, 1993).
Sappiamo che la testa può assumere tre posizioni durante uno squat: in alto, frontale e in basso.
La posizione consigliata è quella neutra, ovvero con lo sguardo fisso in avanti o leggermente verso l’alto. In questo caso utilizzando un punto di riferimento fisso la testa rimarrà immobile per tutto l’arco di movimento (Francoeur, 2004).
In realtà questa condizione è poco coerente all’allineamento del corpo che durante il movimento assume sempre una differente posizione. Ricordiamo inoltre che alcuni atleti potrebbero beneficiare di una personalizzazione della tecnica differente rispetto a quanto descritto in questa guida.
Altre raccomandazioni affermano che la testa ed il collo debbano essere mantenuti diritti e allineati alla schiena durante l’esecuzione dell’esercizio.
Di conseguenza lo sguardo dovrebbe essere rivolto in avanti o in basso così da permettere alla testa di modificare il suo assetto a favore dell’allineamento con la schiena (Graham, 2001). Dunque la testa potrebbe essere mantenuta anche in posizione neutra come consigliato da Kelso e Westcott (Kelso et al, 1989; Westcott, 1994).
Di seguito è riportata una tabella con il riepilogo delle posizioni analizzate dai vari autori.
Inoltre si è visto che lasciare la testa in una posizione libera di muoversi o rilassata verso il basso potrebbe portare a un’elevata inclinazione in avanti del busto durate un’accosciata (Fairchild et al, 1993). Di conseguenza potrebbe causare un eccessivo stress alla zona lombare aumentandone il rischio di lesioni (Neitzel & Davies, 2000).
O’Shea ha verificato come utilizzare una posizione neutra della testa non permetta di mantenere lo sguardo fisso. Quindi i punti di riferimento dell’atleta potrebbero variare durante tutta l’accosciata.
D’altro canto alzare la testa e porre lo sguardo verso il soffitto potrebbe causare le stesse condizioni e favorire la mancanza di punti di riferimento. Queste condizioni diminuiscono notevolmente le informazioni sulla posizione del proprio corpo rispetto alla superficie di appoggio (O’Shea, 1994).
Ancora uno sguardo rivolto verso l’alto comporta una posizione del tronco troppo eretta, tale per cui il sovraccarico porterebbe molto affaticamento ai muscoli del quadricipite (Donnelly et al, 2006).
Nella situazione opposta, cioè dirigendo lo sguardo verso il pavimento, le informazioni visive vengono notevolmente ridotte poiché non è possibile vedere quello che si ha intorno.
Questo non permette di percepire e gestire i movimenti oscillatori del corpo fondamentali per il mantenimento della postura eretta (Lee & Lishman, 1975). Inoltre uno sguardo rivolto in basso comporta un aumento dell’angolo di flessione del tronco rispetto alle anche aumentano il rischio di sovraccarico e di infortuni della colonna vertebrale (Donnelly et al, 2006).
Per questo la posizione della testa deve sempre seguire quella della colonna vertebrale. Lo sguardo deve essere rivolto in avanti e leggermente in basso. Nelle accosciate complete lo sguardo può muoversi in direzione di punti differenti così da tenere sempre la testa allineata al busto.
Se l’atleta esegue l’esercizio di fronte a uno specchio la posizione dello sguardo diventa davvero importante. Infatti aumentano notevolmente i feedback visivi sulla propria posizione influenzando l’esercizio.
Per concludere possiamo affermare che le informazioni visive sono molto utili nel determinare la corretta posizione del corpo sia nella discesa che nella risalita dello squat. Senza queste informazioni si potrebbe avere una perdita di equilibrio, cadere e procurarsi delle lesioni.
La posizione del busto
Nello Squat è importante mantenere un assetto posturale corretto mantenendo invariate le curve fisiologiche della colonna vertebrale diminuendo così le forze di taglio che si sviluppano durante la flessione in avanti del busto. Per questo motivo la posizione del busto è molto importante in quanto una sua variazione determina lo spostamento del punto di massa del carico.
Esistono due principali tecniche che prevedono un assetto del busto differente. Entrambe utilizzano la spinta delle gambe per generale forza, ma una prevede che il busto sia mantenuto eretto, mentre nell’altra il busto viene utilizzato a favore del movimento. (Van Dieen et al, 1999).
Analizziamo ora le due modalità, la tecnica del busto “fisso” e del busto “co-partecipatore”.
La tecnica del busto “fisso”
Nella prima tecnica il movimento delle gambe è a busto “fisso”, infatti prevede che quest’ultimo abbia una flessione inferiore ai 30° (Straker, 2002).
Van Dienn e colleghi hanno mostrato come questa impostazione porti a un maggior lavoro dei muscoli delle gambe mentre i muscoli della schiena sono attivi maggiormente come stabilizzatori (Van Dieen et al, 1999). In linea con questo pensiero anche Salem rileva che un busto più verticale attiva maggiormente i muscoli inferiori del corpo, con maggior enfasi sui quadricipiti rispetto agli ischiocrurali.
Invece Donnelly documenta una marcata attività di estensione dell’anca da parte dei muscoli ischiocrurali e questo si verificherebbe maggiormente nel mezzo squat. Però lo stesso autore afferma che il maggior dispendio energetico è dato dal muscolo quadricipite (Donnelly et al, 2006).
La tecnica del busto “co-partecipatore”
La seconda tecnica utilizza il movimento della schiena come “co-partecipatore” nella spinta del bilanciere.
Questa modalità prevede una flessione del busto che tra i 30° e 45°. Infatti alcuni atleti una volta superati i ¾ del movimento posizionano il busto ad un angolo inferiore ai 30° (dal mezzo squat in su) (Straker, 2002).
Per quanto riguarda l’attivazione muscolare Van Dienn e colleghi dimostrano come questa tecnica porti a una minore sensazione di fatica degli arti inferiori e una maggiore gestione del carico (Van Dieen et al, 1999).
Al contrario pone in condizioni di maggior stress la colonna vertebrale. Questa condizione se non è adeguatamente compensata e allenata, aumenta il rischio di lesioni (Neitzel et al, 2000). Infatti Hagem e successivamente Donnelly affermano che una combinazione tra flessione in avanti della schiena unita a elevata velocità di esecuzione con carichi alti può aumentare il rischio di ernie discali (Hagem et al, 1994; Donnelly, 2006).
La causa sarebbe da ricercare soprattutto nel mancato controllo della tecnica esecutiva (Hagem et al, 1994; Donnelly, 2006).
Come già accennato, la tecnica ottimale è quella in cui la flessione del busto in avanti è di circa 30-35°.
In questa posizione la schiena dovrebbe essere mantenuta ferma, anche se è concesso un leggero movimento in chiusura per ripristinare l’equilibrio statico. Qui l’enfasi nell’attivazione muscolare deve essere rivolta ai muscoli delle gambe.
Squat e articolazione del ginocchio
L’articolazione del ginocchio è la seconda per importanza in quelle coinvolte nello squat. Essa costituisce il punto di collegamento tra il busto e la caviglia risentendo di ogni movimento compiuto dal corpo.
Per questo motivo il ginocchio è coinvolto nello squat in tutti e due i suoi gradi di libertà: flesso-estensione e rotazione interna-esterna.
L’eseprimento di Flry e colleghi: ginocchia oltre la punta dei piedi?
Flry e colleghi hanno analizzato lo spostamento in avanti delle ginocchia durante lo squat.
Nell’esperimento hanno fatto eseguire diversi squat con delle tavolette che bloccavano l’avanzamento delle ginocchia oltre la punta del piede.
Tramite questo test sono giunti alla conclusione che cercare di non oltrepassare la linea del piede con le ginocchia può portare forze maggiori sull’anca che poi si trasferiscono sulla zona lombare. Di conseguenza la riduzione delle forze di taglio sul ginocchio aumenta il rischio di lesioni alla colonna.
Al contrario oltrepassare di molto la linea dei piedi con le ginocchia, porta ad un aumento delle forze di taglio sulle stesse (Fry et al, 2003).
Ebbene di fatto le ginocchia dovrebbero oltrepassare leggermente la punta dei piedi senza perdere il contatto dei piedi con il suolo.
Inoltre, l’entità dello spostamento in avanti della tibia varia a seconda del somatotipo del soggetto, in particolar modo dal rapporto tra busto e lunghezza delle gambe (Fly et al, 2003).
L’angolo del ginocchio e i tipi di squat
La valutazione della posizione del ginocchio in uno Squat fa riferimento all’angolo del ginocchio.
La sua misura prende come riferimento l’angolo che si forma tra la linea che unisce il centro dell’articolazione coxo-femorale a quella del ginocchio e la linea che unisce l’articolazione del ginocchio con quella della caviglia. Di conseguenza la posizione a 0° sarà corrispondente alla gamba completamente estesa (anca, ginocchio e caviglia allineati).
Durante l’accosciata l’angolo del ginocchio aumenterà in fase eccentrica e diminuirà in fase concentrica. Proprio in base ai gradi dell’angolo del ginocchio si possono distinguere diversi tipi di squat che variano per attivazione muscolare, per il carico applicato sulle strutture tendinee e legamentose (Marcora & Miller, 2000; Salem et al, 2003). Tra i più comuni abbiamo il mezzo squat, lo squat al parallelo e lo squat completo.
Il mezzo squat
Il mezzo Squat è un’accosciata in cui angolo del ginocchio è compreso tra 0° e 90° circa (Straker, 2002).
Gli esercizi con un angolo del ginocchio di circa 50° causano una maggiore attivazione del Vasto Mediale e Vasto Laterale del quadricipite (Hugel et al, 1999). Quest’angolo di lavoro, inoltre, è consigliato per gli atleti con legamento crociato posteriore lesionato oppure ricostruito (Escamilla, 2000).
Inoltre il quadricipite esercita una maggiore forza anteriore, tramite il tendile patellare, quando il ginocchio supera una flessione di 60°. Invece superando i 70° il vasto mediale e il vasto laterale esprimono la medesima forza (Escamilla 2000). Quindi la maggior forza contratile è rappresentata dal reclutamento del quadricipite e di altri muscoli di estensione dell’anca e del ginocchio, nonché una maggiore attivazione della muscolatura stabilizzatrice (Escamilla 2000).
Ancora Kellis e colleghi mostrano come la massima forza nello squat venga generata ad un angolo del ginocchio di 20-40°, a circa nel 30% del ROM totale (Kellis et al, 2005). Alla luce di queste analisi si evince perché il mezzo squat viene consigliato a gli atleti principianti o in riabilitazione (Chandler & Stone, 1991).
Lo squat al parallelo
È considerato tale quando l’angolo del ginocchio è a circa 100° (Escamilla 2000).
Nella pratica con finalità estetiche lo squat al parallelo viene compiuto quando le cosce si trovano parallele al suolo.
In questo angolo di lavoro l’attività del quadricipite ha un picco massimo di attivazione con un’attività maggiore nei vasti (Escamilla 2000). Invece sotto i 90° l’attività del quadricipite rimane quasi costante, per questo se l’obiettivo è il miglioramento dell’ipertrofia di questo muscolo si sconsigliano profondità maggiori (Schoenfield, 2010).
Lo squat completo
Lo squat completo è definito tale fino a quando la parte posteriore dalla coscia entra in contato con la parte posteriore della gamba, ovvero quando gli Ischiocrurali toccano il gastrocnemio) (Escamilla, 2000).
Questa condizione si verifica ad un angolo del ginocchio compreso tra i 130° e i 150° circa. In questa posizione il quadricipite ha già raggiunto la sua piena contrazione e di conseguenza si verifica un’attivazione maggiore dei muscoli posteriori della coscia (ischiocrurali e glutei) (Marcora & Miller, 2000).
Lo Squat completo è il movimento più difficile da realizzare rispetto agli altri.
Nonostante ciò i soggetti esperti riescono a esprimere la massima forza proprio in questo movimento. Infatti a sostegno di questa tesi Rahamani verificò che la massima forza nello Squat è ottenuta ad un angolo di ginocchio di circa 110° (Rahamani et al, 2001). Ancora prima Hakkinen e colleghi avevano ipotizzato la stessa conclusione su un angolo di ginocchio intorno a 120° (Hakkinen et al, 1987).
La posizione dei piedi nello squat
La caviglia è è l’articolazione che fornisce più stabilità al corpo, ed è quella con il minor grado di movimento durante lo squat.
La posizione dei piedi, soprattutto la distanza del passo, influenza enormemente l’esecuzione dello squat (Abelbeck, 2002). Questo avviene sia in termini di prevenzione della salute che in termini di attivazione della muscolatura (Straker, 2002; Sriwarno et al, 2008).
Le 3 principali posizioni dela distanza del passo sono: neutra, stretta e larga. Inoltre i piedi possono assumere una posizione di intra o extra-rotazione.
Il passo neutro
La posizione neutra è una distanza dei piedi pari alla larghezza delle spalle per i maschi, e pari alla larghezza del bacino per le femmine. Questa posizione è tipica dei neofiti che si approcciano per la prima volta nello Squat o per i bodybuilder che ricercano maggior “pompaggio” muscolare.
Il passo neutro permette un maggior coinvolgimento dei quadricipiti e il gastrocnemio risulta avere un’attivazione superiore di circa il 21% rispetto alle posizioni più ampie (Fry et al, 2003; Escamilla, 2000).
Inoltre Hung e Gross hanno analizzato l’attivazione muscolare nel mezzo squat compiuto in intra o extra rotazione del piede a10° e con passo neutro.
Gli studiosi hanno verificato che l’attivazione muscolare non cambia nelle differenti posizioni (Hung & Gross, 1999).
Ancora Escamilla ha verificato che un intra ed extra rotazione maggiore di 30° non comportava una differente attivazione dei quadricipiti e del gastrocnemio (Escamilla, 2000). Però L’intra-rotazione risulta molto scomoda da mantenere (Signorile et al, 1995). Infatti gli squat profondi o al parallelo sono da evitare con questa posizione, poiché si causerebbe la perdita dell’assetto lombare con uno spostamento eccessivo del ginocchio oltre la punta del piede.
Il passo stretto
La posizione a passo stretto è una distanza dei piedi inferiore alla larghezza spalle o bacino. Questa tecnica è di rado analizzata nella letteratura scientifica.
Sato e colleghi affermano che la posizione dei piedi stretta è sfavorevole per realizzare una buona accosciata. Inoltre i piedi dovrebbero essere posizionati in modo confortevole che permettano alle ginocchia di muoversi in linea con le punte dei piedi (Sato et al, 2012).
Di solito il passo stretto viene utilizzato solo negli esercizi ai macchinari, ad esempio quando si esegue lo squat alla smith machine o all’hack squat machine, per cercare una maggiore stress a carico dei glutei (Abelbeck, 2002).
Il passo largo
La posizione passo largo è una distanza dei piedi che va oltre alla larghezza delle spalle o del bacino.
Paoli e colleghi hanno verificato che lo squat eseguito con un passo ampio il doppio della larghezza spalle, portava a una maggiore attivazione degli estensori dell’anca e degli adduttori (Paoli et al, 2009). Anche in questo caso l’intra-rotazione o l’extra-rotazione del piede non sembra influire sull’attivazione dei quadricipiti e degli ischiocrurali (Paoli et al, 2009).
McCaw e Melrose costatarono che lo squat con passo ampio porta a una maggiore attivazione dei glutei raggiungendo il loro picco massimo di contrazione con una posizione dei piedi pari al 140% della larghezza delle spalle (McCaw & Melrose, 1999).
Anocra Escamilla verificò che una extra-rotazione dei piedi di 30° con una distanza dei piedi larga genera un 15%-16% di forze di compressione in più rispetto al passo stretto (Escamilla 2000).
Per concludere a qualsiasi larghezza del passo McCaw e Melrose evidenziano come l’attivazione dei glutei sia uguale a carchi del 60% di 1 RM, mentre aumenterebbe con carico pari o superiori al 75% di 1 RM (McCaw & Melrose, 1999).
L’extra e l’intra-rotazione dei piedi
Sebbene esistano piccole variazioni tra l’extra e l’intra-rotazione del piede, queste posizioni non causano una differenza davvero significativa nell’attivazione muscolare.
Un’intra-rotazione di 30° o superiore, riduce drasticamente la base d’appoggio e causa uno scorretto lavoro delle anche e delle ginocchia dovuto allo stress delle articolazioni coinvolte (Signorile et al, 1995). Le stesse conclusioni sono state fornite per l’utilizzo di un angolo di extra-rotazione di 50° (Signorile et al, 1995).
Per quanto un angolo di extra-rotazione di 80° porti a maggior attivazione del gluteo e del retto del femore, si verifica un impegno eccessivo dell’articolazione coxo-femorale (Signorile et al, 1995). Di conseguenza è consigliato una larghezza del piede neutra o larga con un leggera extra-rotazione di 7°. Questo posizione iniziale assicura un corretto movimento della rotula in linea con il piede.
Inoltre è importante che, durante tutto il movimento di squat, il piede rimanga in appoggio a terra.
Infatti un’elevazione del tallone sposterebbe il carico verso la punta del piede diminuendo l’attivazione del retto femorale e del tibiale anteriore.
Si verificherebbe un utilizzo maggiore dei muscoli brevi delle dita, che sono nettamente più deboli rispetto ai primi due e quindi meno funzionali al gesto da compiere (Swriano et al, 2008).
La posizione del bilanciere
La posizione del sovraccarico durante lo squat condiziona la tecnica di esecuzione.
Il Back Squat viene eseguito con il bilanciere posizionato sulla schiena sopra le scapole, nella parte centrale del trapezio, cercando di mantenere le scapole addotte per creare un buon piano d’appoggio.
Esistono due fondamentali posizioni del bilanciere:
- High Bar: il bilanciere va posizionato sulla parte alta delle scapole e poggia sul trapezio;
- Low Bar: il bilanciere viene posizionato nella parte centrale delle scapole e poggia sui deltoidi posteriori.
Una posizione scorretta è quella di collocare il bilanciere all’altezza del collo, poiché potrebbe causare danni alle strutture vertebrali sottostanti.
Al contrario il Front Squat prevede una posizione frontale del bilanciere sulla parte anteriore delle spalle, sopra le clavicole e sul deltoide anteriore.
Nel Front Squat si ha una maggiore attivazione dei quadricipiti, dei glutei e degli erettori spinali (Paoli et al 2013). Inoltre costringendo ad una maggiore verticalità del busto esso impone un minor carico sulle vertebre lombari.
Conclusioni finali
Lo squat rappresenta un ottimo esercizio per sviluppare la forza e la potenza, inoltre viene utilizzato in quasi tutte le batterie di test fisici e di performance.
Esistono diverse varianti dello Squat ognuna leggermente differente in base al collocamento del sovraccarico. Questo può non essere necessariamente un bilanciere, ma si possono usare i manubri, dei dischi, le kettlebell, o le palle mediche che svolgono la medesima funzione.
Lo squat per quanto sia un esercizio standardizzato non può sottostare a delle regole ferree, ma è opportuno che sia adattato in base all’obiettivo finale e al soggetto. Infatti la lunghezza dei segmenti corporei, la posizione del bilanciere e la posizione dei piedi condizionano tutta dinamica dell’accosciata.
A cura del Dottor Corrado Galazzo
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BIBLIOGRAFIA – REFERENCES, prima parte:
BIBLIOGRAFIA – REFERENCES, seconda parte:
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