Scienze Motorie e mercato del lavoro: un mondo in trasformazione
Questo tema è sempre attuale soprattutto alla luce della “guerra civile” che si sta consumando tra gli stessi laureati in Scienze Motorie, infatti parecchi sono impegnati in vere e proprie battaglie sul web.
Abbiamo chi è a favore di un riconoscimento esclusivo della figura del laureato su qualsiasi tema inerente lo sport e l’attività fisica preventiva, chi solo a favore del riconoscimento sanitario e altri pronti ad escludere migliaia di tecnici appartenenti a sport specifici.
In questo articolo cercheremo di effettuare un’analisi di alcune delle dinamiche che accomunano tutti questi settori e non soltanto di chi ha studiato Scienze Motorie.
Siamo in cerca di risposte e pertanto ci domandiamo sempre più spesso come debba essere attuato il riconoscimento, ma soprattutto se potrà mai esserci.
Da circa vent’anni il mondo sta attuando una profonda trasformazione ed in particolare nei suoi andamenti economici e sociali. Queste mutazioni andrebbero ricercate a partire dalla grande Rivoluzione Industriale passando attraverso le Guerre Mondiali per arrivare, oggi, all’era del digital.
Per comprendere le dinamiche odierne bisognerebbe capire e soprattutto accettare il proprio passato: quello che ci ha condotto fino ad oggi. Nel linguaggio storico esiste una parola tedesca che descrive questo concetto: vergangenheitsbewältigung.
Analizzare il passato ci permetterebbe di sviluppare una visione d’insieme sia sugli errori che sulle mentalità “retrograde” che abbiamo ereditato. E questo andrebbe realizzato alla luce delle trasformazioni mondiali che si stanno verificando nel mercato lavorativo.
Partiamo dalla formazione professionale.
Il curriculum è la carta d’identità del professionista e rappresenta il valore percepito dal mercato su quale si presenta e offre la propria prestazione. Questo è il parametro fondamentale che dispone colui che dovrà essere scelto tra tanti. Se il proprio valore percepito è identico a quello di altri centomila concorrenti le possibilità di trovare un impiego diventeranno più ardue. In particolare se le richieste del mercato sono “al ribasso” come accade oggi.
In questo contesto solo l’applicazione delle proprie effettive competenze sul campo metteranno in luce le qualità reali del professionista, insomma il valore reale.
Ora ci soffermiamo su questo primo aspetto perché si alimenta una confusione preoccupante tra gli addetti ai lavori che invocano il riconoscimento.
“Avere il curriculum” non significa essere capaci. Però è una condizione necessaria, ma non porta automaticamente ad aggiudicarsi, rivendicandolo, un lavoro.
Se consideriamo che quasi tutti i mercati si saturano ad una velocità enorme rispetto al passato, abbiamo un mix esplosivo di persone che stanno studiando nozioni che, al termine del percorso accademico, saranno già antiquate!
Inoltre a questo si aggiunge il fatto che in molte professioni vi è una riduzione dei compensi. Un esempio? Pensiamo ai neo laureati in ingegneria che guadagnano molto meno rispetto ai loro colleghi di quindici anni fa. Questi contratti sono stati ridimensionati e spesso si è invitati ad aprire la partita IVA con i rischi annessi e connessi.
Ma perché vi è un abbassamento dei salari e una maggior richiesta di liberi professionisti?
Per capire cosa stia realmente accadendo dobbiamo cercare le risposte nelle dinamiche del mercato. In molti settori si è intrapresa la strada dell’iper-specializzazione e dell’istruzione di “alto profilo” (laureati e dottorati), con una diminuzione progressiva degli addetti nel settore terziario.
Le famiglie meno abbienti hanno fatto studiare i figli in base alle loro possibilità nell’idea che l’istruzione potesse fornire la chiave di accesso ad una vita più dignitosa. Inoltre si è diffusa la convinzione che questo avrebbe permesso l’accesso a più diritti e una maggior facilità nel trovare un lavoro ben remunerato.
Questa situazione si è accentuata ancora di più a partire dagli anni ’60 del XX secolo. Infatti la cultura diventò sempre più accessibile aprendo, ad un’enorme fetta dei giovani, la possibilità di “istruirsi di più” rispetto al passato.
Ovviamente la maggior parte delle famiglie dell’epoca, molte delle quali reduci dalle guerre mondiali, non potevano ancora garantire alti livelli di istruzione e molte persone erano considerate già ampiamente istruite al raggiungimento del diploma o della licenza media.
In buona sostanza le persone laureate in quel periodo erano ancora poche rispetto alla popolazione totale.
Il passare del tempo e la presenza del lavoro stabile favorì la formazione, nei paesi occidentali, del cosiddetto ceto medio. Persone che con lo stipendio di un unico lavoro riuscivano a comprarsi una casa, mettere da parte qualche risparmio e garantire un’istruzione superiore ai figli che, senza dover troppo lottare, ebbero la possibilità di frequentare l’Università e conseguire un titolo di studio considerato di alto profilo.
Il problema è sorto nel momento in cui, a causa di un’inversione di rotta del mercato economico e finanziario, la richiesta delle aziende di laureati è venuta sempre meno.
Le principali cause sono da ricercare nella trasformazione tecnologica che ha visto un’automatizzazione dei processi, nell’utilizzo di computer che gestiscono le fasi delicate dei processi industriali e nella minor domanda del mercato economico di prendere in carico personale particolarmente specializzato. Con un’eccezione: il mercato hi-tech ed informatico.
Perché questa premessa?
Perché al di là del titolo accademico, purtroppo, ciò che conta è la richiesta del mercato.
Proprio il mondo del fitness rappresenta bene questo caso. Qui il divertimento del cliente resta la prerogativa principale, ancora più degli effetti dell’attività fisica e delle credenziali del professionista.
In parole povere alla maggior parte delle palestre non interessa il protocollo da adottare nei confronti dei soggetti obesi, infatti questa non è una competenza richiesta: che questo piaccia o no agli addetti della categoria. Se un istruttore riempie le sale di clienti, allora il professionista continua a lavorare.
Caso diverso sono le palestre della salute, ma il focus di questo articolo non sono loro. Proprio per questo bisognerebbe fare un distinguo tra fitness e palestre della salute.
In un altro articolo abbiamo provato a spiegare le ragioni del perché le palestre e i centri sportivi non necessariamente richiedono persone laureate e specializzate. E non è una questione di legge, sebbene molti ne siano convinti. Non è la politica che guida il mercato economico, ma semmai il contrario.
Le richieste del mercato economico veicolano le scelte politiche affinché siano attuali per il mercato corrente.
Probabilmente questo semplice concetto non è chiaro a chi richiede solo diritti e garanzie. Infatti oggi gli stessi ordini professionali sono in difficoltà rispetto al mercato e per questo concedono maggiore libertà di azione e abbattono le giungle burocratiche. A prova di quanto appena scritto esistono Ordini Professionali che includono laureati di diverse discipline facendoli accedere agli esami di stato!
La tutela e l’inclusione nelle professioni sanitarie di nuove discipline, come l’osteopatia, non traggano però in inganno.
L’osteopatia ha avuto un riconoscimento all’interno del mercato sanitario non perché in altri paesi è così, ma piuttosto perché un mercato economico in espansione è maggiormente controllabile se obbligato a rispettare determinate regole. Di conseguenza si genera un flusso economico “portando denaro”, ma se accadesse il contrario lo bloccherebbe! Probabilmente si verificherebbe uno stallo nel riconoscere le Scienze Motorie partendo dal principio di chiuderne l’accesso a molti attuali addetti.
Alcuni lettori penseranno che il riconoscimento sia solo positivo. Invece non è così analizzando i numeri e la percezione degli utenti finali. Infatti, in base ai numeri degli osteopati riconosciuti, ci saranno anche maggiori controlli per obbligare il professionista ad aggiornarsi e frequentare corsi di formazione ECM.
Infatti l’obbligo di aggiornamento permette di alimentare un mercato che iniziava ad essere meno vivace, soprattutto considerando il numero di osteopati presenti nel nostro paese, circa 5000. Sono in costante crescita grazie alla flessibilità didattica utilizzata dalle scuole che ad esempio permettono di continuare a lavorare senza perdere i guadagni.
In tutto questo però sono i dati relativi all’utenza che si rivolge agli osteopati che risultano impressionanti. Secondo un articolo del quotidiano La Repubblica circa due italiani su tre conoscono l’osteopatia e circa il 20% l’ha utilizzata almeno una volta. Ebbene il mercato ha proposto una nuova figura che ha permesso di creare economia impattando sulla società. Non giudichiamo se in bene o in male, ma che abbia impattato è fuori discussione.
Il riconoscimento di una professione non è centrato sul numero degli addetti di una categoria professionale, ma sulla percezione dell’utilità del laureato in questione per la società.
E già a partire dalla scuola sappiamo bene quanto è poco considerata l’attività motoria, figuriamoci in un mercato economico che vive di “fitness” e non sullo Sport o sulla prevenzione. Almeno, non ancora!
Ebbene l’Osteopatia, quasi per magia, a seguito del suo peso economico è stata riconosciuta come materia sanitaria e il laureato in Scienze Motorie no. E non c’è da urlare al complotto, basterebbe capirne le dinamiche e i motivi.
Ma ora veniamo alle Scienze Motorie.
Per chi ha letto con attenzione e con un po’ di giudizio critico su quanto è stato appena scritto, poniamo una domanda: quanto impattano i laureati in Scienze Motorie a livello economico e sulla percezione che gli utenti hanno della loro utilità sociale?
Parliamo di quanto il mondo ci consideri indispensabili per realizzare un impatto economico. Non parliamo di laureati che si autoproclamano indispensabili per il mondo!
Questo è il punto. Il fatto che chi svolge attività motoria impatti meno sulla spesa pubblica e sanitaria è fuori discussione. Le molteplici ricerche pubblicate sull’utilità dell’attività fisica sono sicuramente un ottimo punto di partenza, ma questo non ci legittima (aggiungeremo purtroppo!).
Per un trattamento osteopatico vi è l’obbligo di un Osteopata competente, infatti non ci si può fare un trust da soli, per intenderci, e bisogna saperlo fare!
La domanda è: per salire su un tapis roulant è obbligatoria la presenza di un laureato in Scienze Motorie perché in caso contrario è impossibile farlo?
Inoltre: il riconoscimento del laureato in Scienze Motorie sarebbe giusto che avvenisse su determinati ambiti, ma non su altri! Per questo ci dispiace deludere i sognatori, ma non avverrà nel mondo fitness, almeno in tempi brevi.
E poi: al contrario dell’osteopata che alimenterà ulteriormente il mercato della formazione, come farebbero le Federazioni che sfornano allenatori sport-specifici a continuare ad esistere se si limitasse tutto il mercato dello sport al solo laureato? Si creerebbero problemi economici più seri di quelli già presenti, con perdite di posti di lavoro per gli stessi laureati in Scienze Motorie.
Il mercato economico mira alla crescita e al suo auto-sostentamento, non alla sua annichilazione.
E il mercato della formazione attuale (in moltissime altre professioni è così, non solo nella nostra) ruota grazie agli appassionati e tecnici. E non sui laureati, troppo impegnati a rivendicare la legittimazione esclusiva del loro titolo, senza aggiornare le loro conoscenze nel tempo.
Ci dispiace dirlo in quanto azienda che si rivolge ai laureati in Scienze Motorie, ma i fatti sono questi e di parole decontestualizzate se ne leggono fin troppe da parte di chi probabilmente auspica ad un posto fisso al caldo e al sicuro. Forse è l’incapacità di comprendere le dinamiche complesse e articolate del mondo libero, professionale e imprenditoriale che porta a questo modo di pensare.
Inoltre sorge un altro problema: siamo sicuri che ci sarebbero abbastanza persone che potrebbero rimpiazzare gli allenatori che il mercato richiede?
La maggior parte dei laureati in Scienze Motorie auspica ad entrare nelle Scuole, per il posto fisso e lo stipendio sicuro, basti vedere quanti parlino di questo aspetto nei gruppi!
Il filo conduttore non è certo per come vengono educati oggi i ragazzini delle scuole o per quanto conti il Professore di Educazione Fisica. Questo significa che molti, in realtà, non sono interessati al mondo delle palestre o al mondo dei personal trainer o dei preparatori di sport specifici.
Inoltre dall’altra parte le palestre non pagherebbero di più perché l’ammontare di certi compensi non sono proposti per colpa dei patentati del weekend, ma dallo stesso mercato economico che richiede ottimi servizi al minor prezzo possibile.
La domanda vera è: il laureato accetterebbe di lavorare a tariffe al di sotto della soglia di povertà? E chi ricoprirebbe i ruoli di istruttori di sala pesi? Sappiamo purtroppo che molti laureati accettano anche di lavorare gratis, pur di fare esperienza. Questo è da ritenersi ancora più grave, specie se non c’è una contro-partita reale!
E molti sembrano non cogliere le enormi opportunità di un mercato al ribasso, impegnati a lamentarsi su quanto il mondo non li comprenda. In verità sono loro che dovrebbero imparare a stare al mondo e sciacquare via il vittimismo che li accompagna ogni giorno.
Le domande sono tante e le dinamiche non sono così semplici come le si vuole fare apparire nei gruppi dei social network, nonostante molti urlino contro il mondo intero.
Ammesso che ci sia nel futuro una vittoria dei laureati in Scienze Motorie come erogatori esclusivi dell’istruzione ed educazione sportiva in Italia, siamo sicuri che questo non porterà a maggiori danni sociali, in termini di carenza di posti di lavoro, rispetto a quanto non ci sia oggi?
In un mondo dove si stanno delegittimando sempre più gli Ordini professionali al di là del riconoscimento sanitario, qual è la soluzione per evitare di creare delle carenze di allenatori e tecnici degli sport specifici?
Il riconoscimento è corretto a patto che sia limitato a determinati casi e con il prerequisito di riformare i piani carriera universitari che di sanitario hanno poco o nulla. Per quanto si “mascheri” la facoltà come un surrogato di medicina, siamo molto distanti anche solo dal possedere metà della preparazione necessaria.
Inoltre si richiederà sempre più l’apertura della partita IVA e i lavoratori che auspicano al posto fisso resteranno delusi nel sapere che oggi il mercato economico si muove verso altre direzioni rispetto alle tanto amate “garanzie per tutti”.
Come azienda auspichiamo ad una forma di “meritocrazia”, con tutti i lati negativi che porta con sé questa parola.
La meritocrazia non si basa sui titoli, ma sulla bravura REALE, sotto molti punti di vista: bravura tecnica, dialettica, di relazione, empatica, economica (e la lista potrebbe proseguire).
Se sei necessario ad un’azienda ti viene dato un lavoro da portare a termine (vedasi lezioni di personal, docenze, incarichi e progetti). Le aziende si avvalgono di free lance per lavori specifici. Poi passano ad altri se hanno bisogno di una figura professionale diversa, migliore oppure semplicemente più aderente alla propria mission.
Tutte le aziende di quasi TUTTI i settori stanno iniziando a muoversi in questa direzione e il cambiamento non cesserà.
Se servi lavori, altrimenti no. Lo stesso per le competenze: se non le possiedi non troverai lavoro (sebbene il curriculum sia pieno di lauree e “scartoffie” di diverse dimensioni). Se ti conformi alle leggi del mercato e a ciò che sta richiedendo lavori, altrimenti lavorerai meno. E poi se qualcuno più giovane, ma più capace di te, entra nel mercato del lavoro, lui lavorerà e tu perderai il posto…
La vera meritocrazia è questa e come tutto non è esente da critiche ed aspetti negativi! Ricordiamolo quando urliamo al merito perché esiste il rovescio della medaglia da accettare.
La nostra società sembra più propensa al posto fisso e le garanzie, ma di prendersi i rischi, nonostante parlino di come gestire aziende, non se ne parla neppure. Basta leggere i commenti di alcuni blog!
Purtroppo per chi è figlio di una mentalità da “posto fisso”, dove lo spirito di adattamento sembra non essere la qualità primaria, rimarrà disarmato e inerme nella sua convinzione di ricevere una telefonata che gli proponga un contratto a tempo indeterminato con le numerose tutele sindacali (oggi sempre più “vacillanti”) e la possibilità di mettersi in mutua per potersi vedere la partita di calcio (situazioni reali che avvengono ancora oggi).
Il cambiamento attuato con la crisi economica porterà un po’ di delusioni e queste persone e si uniranno a quella folla di “personaggi” tanto acclamati e lodati (per ora) che vogliono le garanzie di un mondo che sta cambiando sempre di più e di certo non li accontenterà.
Esistono poi coloro che forniscono consigli imprenditoriali senza aver mai svolto la mansione degli imprenditori o dei free lance di successo, con i rischi connessi e invocano ad un capovolgimento del mondo senza comprenderne le REALI problematiche. Ebbene invitiamoli prima ad eccellere nel loro campo e poi ad avanzare pretese e consigli.
Le scale gerarchiche esistono in natura e noi non facciamo eccezione: che ci piaccia o che ci renda frustrati!
Impatto sociale e impatto professionale
Ci sono persone che sono capaci con le loro opere di realizzare un impatto sul tessuto sociale. Anche questo è un merito: rimandiamo alla meritocrazia di prima.
Se un free lance non riesce ad emergere o a farsi riconoscere professionalmente agli occhi degli altri, è lui il problema, non gli altri.
I clienti scelgono e il professionista deve coglierne i bisogni e le esigenze. A molti non piacerà, ma persino Darwin parlava di spirito di adattamento e di sopravvivenza su tale principio. Nell’immobilismo lavorativo che affligge molti free lance dobbiamo pensare che l’impatto sociale è quello che ha più importanza, in tutti i settori.
A nessuno interessa se Steve Jobs fosse laureato o meno. Però resta il fatto che i suoi prodotti hanno provocato un impatto sociale fortissimo. E questo fatto dubitiamo sia in discussione anche a detta di molti ingegneri informatici che avrebbero voluto essere lui, ma non ne avevano i meriti e le capacità (nonostante le pagine dei loro curriculum).
In tutti i settori il meccanismo è simile. C’è chi ha un impatto PROFESSIONALE CURRICOLARE elevato (mille studi pubblicati, dottorati di ricerca e via discorrendo), ma non ha un impatto SOCIALE.
Questo inevitabilmente si ripercuote sull’idea che gli altri hanno e sul valore economico che verrà attribuito al professionista stesso. Molti si vantano di avere 100 pubblicazioni su riviste impattate nelle scienze motorie, ma a conti fatti guadagnano 1000 euro al mese (molto impatto professionale, ma zero impatto sociale). Non vuole essere una critica, ma si tratta di capire quali siano le priorità per ciascuno di noi. Infatti non possiamo lamentarci delle conseguenze delle nostre scelte, chiedendo al mondo di comprenderci: perché non succederà e resteremo solo delusi e depressi.
Abbiamo avuto modo di conoscere molte persone nei diversi viaggi per lavoro con la Corebo, stimabili e dall’alto impatto professionale, che lavorano gratis nell’Università. Avete letto bene!
La loro vita professionale è frenetica con ritmi più elevati di un dipendente di una fabbrica. Ciò accade perché hanno fatto scelte stimabili, ma non prive di risvolti negativi. Come accade in qualsiasi mestiere o professione, aggiungeremo. Basta poi non lamentarsi per le scelte intraprese.
Queste persone saranno soldati altamente formati e specializzati, ma dal basso impatto imprenditoriale se non faranno qualcosa per cambiare. Inoltre avranno un basso rapporto in termini di qualità della vita rispetto alle ore di lavoro. Ebbene lavoreranno moltissimo per avere poco in tasca rispetto al tempo investito.
E poi alcuni si fondano solo sul curriculum, come se l’esperienza accademica li possa rendere allenatori di livello internazionale. Se non hanno mai allenato, a parte i molteplici libri letti, non conteranno alcunché.
Inoltre non basta possedere mentalmente alcune nozioni, bisogna essere in grado di trasmetterle. Parlare è diverso di comunicare. Insegnare è una cosa, istruire un’altra. Un formatore che spiega un esercizio senza farlo vedere e rimane con le braccia conserte, non è un buon formatore. Poco conta il suo curriculum o se è un professore dell’Università “supercazzola”. E questo è così nel nostro ambito, che si voglia ammettere o si faccia finta che non sia così, impettendoci davanti allo specchio perché possediamo il titolo per eccellenza, senza però eccellere davvero.
Lo stesso errore lo commette chi con tanti muscoli si ammira davanti allo specchio della palestra, senza possedere però le informazioni necessarie di metodologia per insegnare. Vediamo di non prendere la stessa cantonata!
Il nostro modo di vedere le cose non rispecchia le esigenze del mondo e la percezione che gli altri hanno di noi.
Dobbiamo capire le dinamiche per portare del valore nelle Scienze Motorie e rivendicare un riconoscimento con i presupposti corretti. Se diamo valore al nostro mestiere dalla nostra cameretta perché siamo convinti di aver capito tutto, ma i fatti testimoniamo il contrario, dobbiamo porci delle domande e non invocare alla rivoluzione.
Scienze Motorie e alcuni spunti applicativi
Lasciamo in ultima analisi alcune domande che dovrebbero aiutare il laureato in Scienze Motorie. Le domande qui presenti non possono trovare risposte generiche, ma specifiche e approfondite.
Qualora non si riuscisse a rispondere esaustivamente, bisogna fare un passo indietro e lavorare un po’ di più su se stessi e la propria figura professionale perché se nemmeno noi abbiamo chiara l’idea di chi siamo, figuriamoci i nostri futuri e potenziali clienti.
- Qual è il tuo campo di pertinenza nelle scienze motorie? Esiste un tema in cui ti senti particolarmente preparato?
- Qual è il tuo mercato target e quale tipologia di clienti vorresti in base alla tua formazione professionale?
- Descrivi il tuo servizio e in quale regione di appartenenza operi. Questo aiuta già a comprendere il target e il mercato di riferimento;
- Qual è il linguaggio che utilizzi per promuoverti? Il linguaggio veicola la scelta del target finale e la tua stessa clientela (linguaggio semplice, forbito, volgare, impulsivo, provocatorio).
- Quali altre materie trasversali conosci per ampliare le tue conoscenze? E questa cultura è trasferibile nella tua professione?
- Preferisci uno stipendio medio fisso o uno stipendio “variabile” che può essere molto alto o anche rasente lo zero? Hai mai pensato a quale delle due tipologie di guadagnofosse più pertinente? Questo si configura con chi sei tu caratterialmente?
- Hai pensato ad un modo differente di distinguerti che non venga confuso con la professione di molti altri con le tue credenziali curricolari e accademiche di partenza?
“L’istruzione è l’arma più potente per cambiare il mondo” (Nelson Mandela)
Buona riflessione!
A cura del Dr. Giulio Merlini
RINGRAZIAMENTI PERSONALI: questo articolo è stato scritto nella struttura generale dall’autore segnalato, ma sono state portate diverse integrazioni dallo staff, per questo è stato introdotto il plurale nei verbi, in quanto gli autori nel complesso sono diversi.
Per una formazione delle Scienze Motorie consapevole!
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Tag:scienze motorie
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