Allenamento e trasmutazione di un gesto motorio
Un articolo diverso che vuole innescare domande, più che fornire risposte. Che cos’è la trasmutazione di un gesto tecnico e come funziona in ambito motorio?
Trasmutazione di un gesto atletico: che cos’è?
La trasmutazione di un gesto tecnico significa riuscire a migliorare il gesto primario di uno sport, grazie all’utilizzo di mezzi e metodi ausiliari.
Vediamo un po’ più nel dettaglio di cosa si tratta.
Immaginiamo di eseguire un back squat con il bilanciere e di proporlo per poter migliorare il salto in alto di un atleta. Può tornare realmente utile? Se si, utilizzando quali percentuali di carico?
Sono temi che potrebbero essere trasposti nei più molteplici ambiti.
Per esempio l’utilizzo dei sovraccarichi nei maratoneti. Quanto può tornare utile per migliorare la tecnica di corsa e con quali modalità?
La tipologia di somministrazione dei sovraccarichi dovrebbe essere trattata con maggior respiro anche nelle Università, dove purtroppo il poco tempo a disposizione non permette questo genere di osservazioni e ragionamenti. Preparare la maratona e preparare una mezzo fondo porta a differenti tipologie di preparazione. In questo contesto, come personalizzare l’utilizzo dei sovraccarichi in discipline affini, seppur diverse?
Pur non conoscendo il meccanismo di trasmutazione dei carichi, in qualità di preparatori fisici ci siamo sicuramente scontrati con l’utilizzare macchine isotoniche, pesi liberi o il corpo libero con l’idea di migliorare il gesto sportivo primario dell’atleta.
Quando il transfer non avviene!
Alcuni definirebbero la trasmutazione una sorta di transfer. E in certi sensi lo è. Il problema è quanto decidiamo di somministrare un certo lavoro di preparazione fisica.
In altre parole bisognerebbe indagare fino a quale punto la preparazione fisica con sovraccarichi migliori l’espressione, l’efficacia e l’efficienza di un gesto motorio e quando tale proposta risulta controproducente.
In questi casi si può dire che la trasmutazione avvenga, ma non in maniera positiva per la performance primaria, perché diventa essa stessa una forma di specializzazione per l’atleta.
La difficoltà nel somministrare un lavoro fisico non si pone fintanto che la maggior parte delle società ha fin troppo poco tempo da dedicare all’allenamento primario. Figuriamoci per programmare una preparazione fisica che, in termini di frequenza, possa ridurre il gesto atletico primario dell’atleta.
Nell’articolo “quanto contano i muscoli nello sport“, trattammo un argomento che in qualche modo può ricollegarsi proprio a quanto abbiamo accennato in questo editoriale.
Forniteci anche voi alcune considerazioni nei commenti.
Come sempre, vi auguriamo una buona programmazione consapevole!
Corebo – La Scienza al Servizio dello Sport