Come viene controllata l’assunzione di cibo dal nostro cervello
Il nostro corpo ha un sistema finemente sintonizzato e settato per mantenere un peso corporeo stabile e sano.
Il sistema è un insieme di reazioni ormonali e recettoriali che vanno dall’attivazione dei neuroni AGRP al rilascio della leptina, fino all’assunzione di cibi definibili “gratificanti” per l’attivazione del sistema dopaminergico.
Mangiare alimenti che consideriamo appetibili ci fa sentire bene a causa della connessione tra i sistemi di consumo e di ricompensa, ma questa sensazione ha vita breve. Così, in particolari condizioni della vita, tutto ciò diventa un circolo vizioso tra assunzione di cibo ad alta densità calorica e gratificazione momentanea.
Per evitare tutto questo, molti nutrizionisti consigliano di limitare i pasti sgarro soltanto una volta a settimana. Addirittura alcuni consigliano di eliminare completamente i cibi ad alta densità caloria.
Dall’altro lato gli alimenti più “sani” (semplici e a bassa densità calorica) sono difficili da mangiare per tempi lunghi anche se sono i migliori per evitare malattie correlate con un eccesso di cibo.
Ovviamente la dieta, il mantenimento e/o la perdita di peso saranno più facili se ci concentriamo su alimenti “sani” che attivano in modo appropriato il nostro circuito della sazietà. Mentre se si ha difficoltà a mettere su peso si possono consumare alimenti di maggiore “appetibilità” così da aumentare il numero di calorie ingerite.
Come viene controllata l’assunzione di cibo dal nostro cervello
I tre circuiti cerebrali principali
Ricorda: esiste una stretta connessione tra dieta sana e risultati salutistici e/o estetici.
Mangiare è un comportamento molto complesso che è influenzato da molti fattori diversi (essere da soli o con gli altri, lo stato emotivo, tempo dedicato al pasto, macronutrienti assunti e loro bilanciamento).
Il comportamento alimentare è difficile da studiare perché è così personalizzato in base alla tua genetica, al modo in cui sei cresciuto, al tuo stile di vita e all’ambiente in cui vivi ogni giorno. Ci sono però alcuni meccanismi che sono praticamente uguali per tutti noi, non solo come esseri umani ma come animali in generale.
Mangiare è un comportamento controllato da diversi processi cerebrali che sono altamente conservati e simili tra le specie di mammiferi.
Tra tutti i circuiti cerebrali che si sono “evoluti” nel corpo umano ne esistono ben tre che controllano il nostro comportamento alimentare, specialmente quando e quanto mangiamo.
Essi sono distinti ma interconnessi tra loro, e si trovano anatomicamente in diverse regioni del cervello: il circuito della fame, il circuito del consumo e il circuito della sazietà (Sternson SM & Eiselt AK 2017).
Quando perdiamo peso vuol dire che stiamo assumendo, quasi sicuramente, un numero basso di calorie, per questo il circuito della fame è in costante attivazione. Esso ci fornisce segnali costanti di assunzione di cibo.
A livello cerebrale il corpo umano ha associato all’attivazione del circuito della fame anche sensazioni negative per motivare un individuo a consumare più alimenti e calorie.
Mangiare alimenti appaganti ad alto contenuto di grassi e zuccheri attiverà eccessivamente il sistema di ricompensa (dopaminergico) che è accoppiato al circuito del consumo, facilitando l’eccesso di cibo.
Allo stesso tempo, una volta consumate abbastanza calorie, si attiveranno i segnali di sazietà che nei casi più estremi possono portare come effetto un forte disagio da parte di chi ha ecceduto. In alcuni casi si parla proprio di disturbi del comportamento alimentare che è bene che sia uno specialista ad occuparsene.
Affidarsi a cibi prevalentemente poco appaganti a livello gustativo (o con densità calorica bassa) coinvolge in modo appropriato tutti e tre i circuiti per mantenere un peso corporeo stabile e sano.
Tuttavia, per la maggior parte degli individui, è necessario uno sforzo maggiore quando l’intenzione finale è quella di dimagrire per ottenere un fisico asciutto e definito.
Il circuito della fame
L’intero processo di ricerca del cibo inizia con il circuito della fame.
Questo circuito neurale attiva dei neuroni nel nucleo arcuato dell’ipotalamo. Questi neuroni sono situati nella parte inferiore del cervello che possono accendere peptidi e ormoni in grado di superare la barriera emato-encefalica.
Di quale tipo di ormoni e peptidi stiamo parlando? I più importanti (per la riceca di cibo) sono:
- leptina;
- grelina;
- insulina.
Questi ormoni circolano costantemente nel sangue e il nucleo arcuato controlla strettamente i loro livelli (Marx, 2003). Se non hai mangiato granché durante il giorno, i livelli di insulina saranno moderatamente bassi, ma i livelli di grelina, un ormone secreto dallo stomaco in risposta al digiuno, sarà alto.
Un po’ di fisiologia: la leptina
La leptina, un ormone secreto dal tessuto adiposo (cioè le cellule adipose), informa il nucleo arcuato (e altre aree cerebrali) sulle riserve di energia sotto forma di grasso.
Livelli alti di leptina segnalano che le riserve energetiche sono elevate mentre bassi livelli circolanti segnalano che occorre consumare del cibo (Li, 2011).
Rendendola più semplice un individuo che possiede una massa grassa bassa avrà bassi livelli di leptina, al contrario un individuo “in sovrappeso” avrà alti livelli di leptina in circolazione.
Ecco cosa succede nelle due situazioni tipiche e contrapposte.
-
Leptina Bassa: attivazione dei neuroni AGRP e aumento del desiderio nella ricerca di cibo, riducendo allo stesso tempo il dispendio energetico (Pandit et al, 2017).
-
Leptina Alta: riduzione dell’attività dei neuroni ARGP. Il corpo è meno affamato e meno motivato a trovare cibo (Pandit et al, 2017).
Questo è un meccanismo evolutivo per mantenere un peso corporeo stabile. Una volta che si ha energia sotto forma di grasso allora non c’è bisogno di trovare altro cibo.
Ovviamente questo sistema evolutivo non si preoccupa dell’estetica, ma solo di modulare il senso di sopravvivenza.
Nel 1994, quando fu scoperta la leptina (Zhang et al, 1994), si pensava che si fosse trovato il farmaco perfetto per contrastare l’obesità. Invece, una rewiev ci mostra come, non tutti i pazienti obesi reagivano bene alla supplementazione di leptina; la maggior parte dei pazienti obesi non perdeva peso (Kelesidis et al, 2010).
La ragione? Oltre un certo punto, l’aumento della produzione di leptina fa ben poco per frenare l’appetito o aumentare il metabolismo. In effetti, l’obesità è spesso accoppiata con resistenza alla leptina (simile all’insulino-resistenza) (Myers et al 2010; Li 2011). Questi individui obesi hanno abbastanza leptina nel loro sistema; il problema è che il cervello non è in grado di rilevare e leggere tutta quella leptina.
Il senso della fame: meccanismi fisiologici
Sappiamo che livelli bassi di energia attivano dei neuroni situati all’interno del nucleo arcuato.
Questi neuroni, chiamati AGRP (peptide agouti-correlati) e POMC (pro-opiomelanocortina), andranno a leggere i livelli di “riserva di energia a breve e lungo termine” incoraggiando il corpo alla ricerca di cibo.
I neuroni AGRP sono generalmente “spenti”, ma si attivano quando rilevano bassi livelli di energia.
Essi hanno un’influenza diretta sul comportamento umano. Infatti attivano una cascata di risposte che rendono attivi e motivati nella ricerca di cibo.
Questo spiega poichè quando abbiamo fame non riusciamo a stare immobili, ma diventiamo irrequieti e alla ricerca di cibo.
Per fortuna però la mente umana può essere ingannata. Infatti risulta molto più facile attenersi alla dieta (eludendo in piccola parte i neuroni AGRP) quando siamo impegnati in altre attività, come ad esempio il lavoro o lo sport.
È interessante notare come recentemente abbiamo scoperto che questi neuroni siano collegati a sentimenti negativi, come la depressione o l’infelicità (Betley et al, 2015).
Come hanno scoperto tutto questo? In laboratorio si possono attivare in modo specifico e artificiale i neuroni AGRP nel cervello dei topi e monitorare il comportamento degli animali. Questi topi non solo cercano e consumano voracemente il cibo (anche se hanno appena mangiato e non dovrebbero essere affamati), ma evitano anche le aree e i luoghi associati a questa attivazione neuronale artificiale. Chiaramente ai topi non piace avere questi neuroni attivati. È spiacevole ed è una sensazione di cui vogliamo liberarci il prima possibile.
Evolutivamente il cervello aveva bisogno di qualche meccanismo per motivare un animale ad alzarsi e trovare del cibo. Questa spiacevole sensazione di fame assicurò che l’animale si trovasse gli alimenti.
I neuroni AGRP diventano silenziosi (in pochissimi secondi) non appena si mangia qualcosa e qualsiasi cibo si trovi.
Nel complesso, il circuito della fame e vari cambiamenti negli ormoni e nei peptidi aiutano a spiegare ciò che dà il via alla fame e motiva a trovare cibo. Ma cosa succede dopo aver iniziato a mangiare? A questo punto, il circuito del consumo prende il sopravvento.
Il circuito del consumo
L’inizio del mangiare, persino la semplice vista del cibo, farà diminuire l’attivazione del circuito della fame riducendo l’attività dei neuroni AGRP.
Il sistema rimarrà silente fino a quando non si rivelerà un altro deficit energetico. Nel frattempo il circuito del consumo farà il suo corso.
Questo circuito neurale si basa principalmente sull’attività dell’ipotalamo laterale, un’altra regione piccola ma fondamentale.
L’ipotalamo laterale è collegato ai centri di ricompensa del cervello (tra cui l’area tegmentale ventrale, lo striato ventrale, la sostantia nigra e il nucleo accumbens) (Kenny, 2011). Queste aree sono ben note per svolgere un ruolo fondamentale nella segnalazione di ricompensa e piacere (Kenny, 2011).
Quando si consuma del cibo i neuroni nell’ipotalamo laterale si attivano e segnalano ai centri di ricompensa che si sta assumendo qualcosa di buono. Certo, più il cibo è appetibile e gustoso più alta sarà la risposta alla ricompensa, specialmente se si consumano carboidrati e grassi insieme (ad esempio dei biscotti al burro).
Il cibo calorico è così “attivante” che i roditori lo preferiscono anche alla cocaina e sono disposti a esporsi a condizioni estreme o dolorose solo per accedere a crostate, biscotti, Coca-Cola o M&Ms, anche se non hanno fame (Kenny, 2011).
Questo accade perché i centri di ricompensa rilasciano dopamina e oppiodi (sostante che danno soddisfazione e serenità) (DiNicolantonio et al, 2018).
In breve, mangiare rilascia sostanze chimiche che ci fanno sentire felici, che è anche il motivo per cui le persone mangiano spesso quando sono stressate o per far fronte a sentimenti o emozioni negative (Meye & Adan, 2014; Frayn et al, 2018).
Pensate che quando si è a dieta (limitando la tipologia degli alimenti ingeriti o consumando meno calorie) i cibi ad alto contenuto calorico e appetibili attivano i centri di ricompensa (aumentando il rilascio di dopamina e oppiodi) in misura maggiore rispetto a una dieta “libera” (Goldstone et al, 2009).
Quindi, più fame si ha, più attrazione e piacere si avrà verso una bella fetta di torta.
Ci sono prove che l’obesità, e una dieta ricca di grassi e zuccheri, cambiano l’attivazione neurale del circuito della sazietà e dei centri della ricompensa (Finlayson, 2017). Questo potrebbe portare a una differente attività del rapporto cervello-cibo rendendo gli individui più restii nello scegliere, o limitare, il cibo.
Pensate che alcuni ricercatori sostengono che l’eccesso di cibo nell’obesità è simile all’eccessivo consumo di droghe nella dipendenza e che l’obesità dovrebbe essere considerata, anche, un disturbo del cervello (Fletcher & Kenny, 2018).
A causa della natura gratificante di questo circuito, la sua attività diventa quasi autosufficiente, portandoci sempre alla ricerca di cibo calorico.
Ricordiamoci che il nostro DNA è progettato per la sopravvivenza, per un mondo dove il cibo veniva procacciato piuttosto che “selezionato” dal banco frigo. Il nostro corpo non è ancora in grado di comprendere la facilità della reperibilità alimentare, ma la nostra mente, e il nostro intelletto, si.
Per questo, non sorprende che durante i periodi di dieta il corpo aumenti la valutazione del cibo appetitoso e la voglia di cibi appaganti a livello gustativo (Hofmann et al, 2010).
In effetti, non smetteremmo di mangiare se non si attivasse il circuito della sazietà. Esso trasmette il segnale di arresto.
Circuito della sazietà
Il circuito della sazietà è attivato dal feedback calorico e dal volume degli alimenti ingeriti.
Una varietà di segnali fornirà feedback sull’energia disponibile dal cervello (principalmente attraverso il nervo vago) all’ombelico, dove si trova il circuito della sazietà (Posovszky & Wabitsch, 2015).
Questi segnali derivano dalla grelina, peptidi intestinali (come peptide tirosina tirosina-PYY, colecistochininina-CCK e peptide-1-GLP-1 simile al glucagone), insulina, amilina (un enzima che aiuta la digestione proteica) e leptina.
I neuroni attivati dal circuito della sazietà si chiamano CGRP (peptide correlato al gene della calcitonina) e si trovano nel nucleo parabrachiale nell’ombelico (Carter et al, 2013).
Questi neuroni CGRP trasmettono il segnale di arresto al circuito di consumo per smettere di mangiare.
È interessante notare come senza i neuroni CGRP i topi consumano cibo fino a quando non soffocano (Campos et al, 2016).
In poche parole senza questi potenti neuroni, non sapremo mai quando vengono consumate abbastanza calorie per smettere di mangiare (Campos et al, 2016).
I neuroni CGRP sono attivi anche quando siamo nauseati o malati. Per questo motivo in particolari condizioni non vogliamo mangiare anche se siamo a digiuno da diverse ore. Questi sono gli stessi neuroni che si attivano anche quando mangiamo qualcosa che ci ha fatto stare male. In altre parole si attivano per ricordarci che quel gusto ci ha provocato malessere (Chen et al, 2018).
Esistono naturalmente anche altri fattori che svolgono un ruolo di “segnale della sazietà”, come la quantità di fibra che ingeriamo, il contenuto di macronutrienti del pasto, il contenuto di acqua nello stomaco, la capacità contenitiva dello stomaco e così via.
In generale, consumare un pasto ricco di fibre, con una quantità sufficiente di acqua e un mix equilibrato di macronutrienti attiverà rapidamente il circuito della sazietà per inviare il segnale di smettere di mangiare. Dovrebbe anche lasciarti soddisfatto per ore, fino a quando il tuo circuito della fame non rileverà il prossimo deficit energetico o un periodo di digiuno prolungato.
L’equilibrio di questi tre sistemi
Questi tre sistemi interconnessi (i circuiti della fame, del consumo e della sazietà) funzionano meglio quando si mangia una dieta ben bilanciata con cibi a basso contenuto calorico. Una volta riempito lo stomaco e assorbiti alcuni nutrienti e calorie, smetti di mangiare e ti senti soddisfatto.
Nel complesso, il tuo cervello sta monitorando le tue riserve di energia per assicurarti di essere in forma e in salute con sufficienti riserve per una potenziale carestia.
Occorre impegno per rispettare la dieta, ma con il tempo ti adatti.
Dopo la nostra nascita, i nostri circuiti cerebrali apprendono diversi stimoli proveniente dall’ambiente che ci circonda.
Tra di essi ci sono gli stimoli di “sopravvivenza” nell’ingerire calorie per “crescere” o per soddisfare bisogni fisici ed emotivi (Johnson, 2013).
Col tempo il nostro cervello impara ad associare la “pizza” (o qualsiasi altro alimento), con odore, vista e perfino la posizione del locale, ad un segnale ben preciso che ci spinge al desiderio di consumare cibo.
Queste associazioni, come l’odore o la parola stessa di un alimento, possono influenzare il rilascio di ormoni che attivano il circuito della fame (Sinha et al, 2019). Questo innesca una voglia inaspettata di un alimento anche quando non ne abbiamo la reale necessità.
In situazioni in cui dobbiamo combattere attivamente l’impulso di mangiare pizza e biscotti, dobbiamo impegnare un’altra regione del cervello: la corteccia prefrontale.
La corteccia prefrontale è l’area più sviluppata nell’uomo rispetto a tutte le altre specie animali (Fuster, 2002). Non sorprende che siamo le uniche specie in grado di pianificare la nostra dieta e il nostro comportamento secondo obiettivi specifici, come l’aumento della forza per un powerlifter o il taglio calorico per partecipare a una competizione di bodybuilding.
Un atleta a dieta per una competizione deve impegnare molto la sua corteccia prefrontale per evitare di cadere nel tranello dell’immediata ricompensa di un cibo molto calorico. Quando il calo peso inizia ad essere importante (una deviazione dal set point del 5-8%) le distrazioni alimentari si fanno molto evidenti.
Per questo, durante un cut, man mano che il peso scende si evidenzia maggiormente il “lavoro” fatto nei mesi precedenti. Non solo per quanto riguarda la forma estetica, ma per l’attitudine alla tipologia di cibo consumato.
Sei tu insieme a alla corteccia prefontale a costruire abitudini sane per un successo dietetico duraturo.
CONCLUSIONE
Evolutivamente il nostro cervello vuole assicurarsi preziose calorie per salvarsi dalle carestie future. Questo era particolarmente importante migliaia di anni fa quando le carestie erano frequenti.
Nelle società moderne le carestie sono quasi inesistenti e siamo circondati da stimoli continui verso alimenti ipercalorici che il nostro cervello cerca costantemente per prepararci a un potenziale, ma improbabile, digiuno duraturo.
Per mantenere e controllare il nostro peso possiamo usare le conoscenze su come il cervello controlla l’appetito e il comportamento alimentare a nostro vantaggio e indurre il circuito di consumo e di sazietà a funzionare a nostro favore per la perdita di grasso.
Qual è il segreto per controllare la complessità che governa il nostro ritmo appetito-sazietà? Mangiare alimenti semplici e poco calorici che contengono abbastanza fibre e acqua. Probabilmente questa non è una novità, ma la ricerca sulle neuroscienze supporta questa affermazione.
Esistono altri modi per perdere grasso, ma se consumi principalmente pasti che non attivano in modo eccessivo il sistema di ricompensa, avrai maggiori probabilità di riuscire nel tuo intento.
Ciò significa mangiare quando si ha fame e fermarsi quando si è ingerito abbastanza cibo.
Purtroppo meno gratificante è la dieta, prima il circuito di sazietà ti dirà di smettere di mangiare.
Un amico una volta mi disse:
Ti svelo un segreto per dimagrire: mangia solo ciò che non ti piace!
Danilo Camilleri.
Alla prossima!
A cura del Dr. Corrado Galazzo
Photo Credits: Pixabay. Author: buffetcrush
BIBLIOGRAFIA – REFERENCES:
-
Betley JN et al (2015). Neurons for hunger and thirst transmit a negative-valence teaching signal. Nature, 521(7551), 180-185.
-
Carter ME et al (2013). Genetic identification of a neural circuit that suppresses appetite. Nature, 503(7474), 111-114.
-
Campos CA et al (2016). Parabrachial CGRP neurons control meal termination. Cell metabolism, 23(5), 811-820.
-
Chen JY et al (2018). Parabrachial CGRP neurons establish and sustain aversive taste memories. Neuron, 100(4), 891-899.
-
DiNicolantonio JJ et al (2018). Sugar addiction: is it real? A narrative review. British Journal of Sports Medicine, 52(14), 910-913.
-
Frayn M et al (2018). Emotional eating and weight regulation: a qualitative study of compensatory behaviors and concerns. Journal of eating disorders, 6(1), 23.
-
Fletcher PC & Kenny PJ (2018). Food addiction: a valid concept?. Neuropsychopharmacology, 43(13), 2506-2513.
-
Finlayson G (2017). Food addiction and obesity: unnecessary medicalization of hedonic overeating. Nature Reviews Endocrinology, 13(8), 493-498.
-
Fuster JM (2002). Frontal lobe and cognitive development. Journal of neurocytology, 31(3-5), 373-385.
-
Goldstone AP et al (2009). Fasting biases brain reward systems towards high‐calorie foods. European Journal of Neuroscience, 30(8), 1625-1635.
-
Hofmann W et al (2010). As pleasure unfolds: Hedonic responses to tempting food. Psychological Science, 21(12), 1863-1870.
-
Johnson AW (2013). Eating beyond metabolic need: how environmental cues influence feeding behavior. Trends in neurosciences, 36(2), 101-109.
-
Kelesidis T et al (2010). Narrative review: the role of leptin in human physiology: emerging clinical applications. Annals of internal medicine, 152(2), 93-100.
-
Kenny PJ (2011). Reward mechanisms in obesity: new insights and future directions. Neuron, 69(4), 664-679.
-
Li MD (2011). Leptin and beyond: an odyssey to the central control of body weight. The Yale journal of biology and medicine, 84(1), 1.
-
Marx J (2003). Cellular warriors at the battle of the bulge.
-
Meye FJ & Adan RA (2014). Feelings about food: the ventral tegmental area in food reward and emotional eating. Trends in pharmacological sciences, 35(1), 31-40.
-
Myers MG et al (2010). Obesity and leptin resistance: distinguishing cause from effect. Trends in Endocrinology & Metabolism, 21(11), 643-651.
-
Pandit R et al (2017). Role of leptin in energy expenditure: the hypothalamic perspective. American Journal of Physiology-Regulatory, Integrative and Comparative Physiology, 312(6), R938-R947.
-
Posovszky C & Wabitsch M (2015). Regulation of appetite, satiation, and body weight by enteroendocrine cells. Part 2: therapeutic potential of enteroendocrine cells in the treatment of obesity. Hormone Research in Paediatrics, 83(1), 11-18.
-
Sinha R et al (2019). Food craving, cortisol and ghrelin responses in modeling highly palatable snack intake in the laboratory. Physiology & behavior, 208, 112563.
-
Sternson SM & Eiselt AK (2017). Three pillars for the neural control of appetite. Annual review of physiology, 79, 401-423.
-
Zhang Y et al (1994). Positional cloning of the mouse obese gene and its human homologue. Nature, 372(6505), 425-432.