Osteoporosi e diabete: quale connessione?
Quando si analizzano patologie specifiche, si tende ad analizzarle singolarmente senza una visione integrata. Cosa c’entra l’osteoporosi con il diabete e cosa condividono questi due quadri clinici? Questo articolo è un insieme di nozioni del convegno sull’osteoporosi.
Osteoporosi e diabete: quale connessione?
L’osteopatia diabetica
Il diabete sappiamo che è una patologia connessa ad una disregolazione del metabolismo glucidico con problematiche nella produzione di insulina e può essere autoimmune (diabete di tipo I) o causato dall’insulino-resistenza (diabete tipo II).
Una persona con patologia diabetica potrebbe avere, tra le diverse complicanze, la fragilità ossea.
Da questo punto di vista si parla di osteopatia diabetica, indicando un’alterazione della mineralizzazione ossea e un maggior rischio di fratture. Pensare che l’osteopatia diabetica sia riconducibile solamente ad una forma di diabete è errato, perché riguarda sia il diabete di tipo I sia il diabete di tipo II.
Diabetes paradox: che cos’è?
Esiste una correlazione tra il diabete di tipo I e la fragilità ossea, cosa che non avviene per il diabete di tipo II. Questo tipo di paradosso viene proprio chiamato “Diabetes Paradox“, ad indicare una differente mineralizzazione tra malati di diabete di tipologie diverse. Nonostante questo, i diabetici di tipo II hanno comunque un rischio maggiore di frattura rispetto ai controlli non diabetici. Questo lo si spiega per una minor resistenza ossea, nonostante la densità mineraria appaia nella norma (è la struttura corticale ad essere compromessa). Per certi versi si parla di osteoporosi indicando erroneamente un problema all’osso, ma in realtà l’osso e la sua integrità dipendono anche dal microcircolo vascolare che potrebbe subire alterazioni tali per cui la resistenza dell’osso stessa potrebbe compromettersi.
Perché il diabete e l’osteoporosi sono connessi?
Ci sono aspetti fisiopatologici che connettono la patologia diabetica con l’osteoporosi. Per esempio un’alterazione cronica della glicemia aumenta anche l’escrezione di calcio urinario con un impoverimento dell’osso e una stimolazione del PTH.
Inoltre si sta sempre più studiando il ruolo cruciale di una carenza di vitamina D, oramai ribattezzata ad ormone diversi anni fa, nell’associazione con un maggior rischio di fratture nel diabete di tipo II.
La durata della malattia influenza la maggior o minor probabilità di rischio di fratture ossee.
Da quello che si evince il quadro è complesso e necessita di diverse accortezze specie per chi si occupa di attività fisica adattata per la patologia diabetica.
Il ruolo del laureato in Scienze Motorie
Cosa c’entra il laureato in Scienze Motorie con questo genere di nozioni? Tanto. Anzi. L’attività fisica non è una prerogativa solo per persone sane, ma soprattutto per persone con disturbi metabolici e patologie come il diabete. Ad oggi risulta fondamentale possedere nozioni trasversali che il laureato in Scienze Motorie deve conoscere per interfacciarsi con medici e permettere così la programmazione di attività fisica strutturata per aiutare la terapia in corso fornita dal medico.
Sempre di più si parla di lavoro in team, ma questo è necessario che venga svolto aggiornando le nozioni costantemente proprio come sono tenuti a fare i professionisti sanitari, anche se la laurea in Scienze Motorie non è ancora sanitaria.
Il ruolo preventivo e di ausilio terapeutico che svolge l’attività fisica risulta cruciale, ma questa deve essere strutturata con l’idea di innalzare la qualità di vita del diabetico e ridurre, per quanto possibile, il rischio di indebolimento osseo.
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Osservazioni pratiche
L’attività con sovraccarichi e l’attività aerobica devono essere adattate in base alla storia fisiopatologica della persona e al decorso della malattia. Per questo risulta fondamentale un rapporto diretto anche con il medico. Sicuramente non si parla di attività fisica intensa e strenua, ma di attività fisica che possa stimolare la stabilità glicemica e la mineralizzazione ossea.
La puntualizzazione doverosa che è necessario fare è relativa all’età dell’assistito. Più l’età si alza e più l’attività fisica dovrà essere controllata, in modo tale che si possa scegliere addirittura la durata della seduta. In alcuni casi si può decidere di optare per poche decine di minuti di attività fisica adattata, per scongiurare il sovraccarico funzionale, compromettendo ulteriormente la buona salute dell’osso.
Dall’altra parte l’attività aerobica permette di stimolare il microcircolo e l’apparato vascolare, strettamente connesso alla salute del sistema scheletrico.
Entrambe queste tipologie vanno valutate dal laureato in Scienze Motorie, per permettere un compenso della patologia e affiancarsi alla terapia medica.
A cura del Dr. Giulio Merlini
Biologo Nutrizionista
REFERENZE IMMAGINI:
Photo by Joyce McCown on Unsplash (copertina)
Photo by Tyler Nix on Unsplash (foto nell’articolo)
(Appunti tratti dall’intervento del Prof. Maurizio Rondinelli per l’aggiornamento professionale sull’osteoporosi)
REFERENCES:
- Adami G et al. (2020). Risk of fragility fractures in obesity and diabetes: a retrospective analysis on a nation-wide cohort. Osteoporos Int.
- Janghorbani M et al. (2007). Systematic Review of Type 1 and Type 2 Diabetes Mellitus and Risk of Fracture. American Journal of Epidemiology.
- Napoli N et al. (2017). Mechanisms of diabetes mellitus- induced bone fragility. Nature Rev Endocrinol.
- Vestergaard P. (2007). Discrepancies in bone mineral density and fracture risk in patients with type 1 and type 2 diabetes—a meta-analysis. Osteoporosis International.
Tag:biologia e sport