Digiuno: fisiologia, effetti, pro e contro
Digiuno: effetti biologici e applicazioni pratiche
In questo articolo parleremo del digiuno e dei suoi effetti biologici e delle sue applicazioni pratiche. Oggi sempre di più il digiuno intermittente viene adottato dagli sportivi e dagli appassionati del mondo del fitness.
Spesso è l’ennesimo tentativo di riporre le speranze in uno dei molti regimi nutrizionali che hanno una certa nomea, attratti più dalla novità dell’ultima panacea per ottenere un buon fisico.
La storia del digiuno
Il digiuno ha ricoperto nei tempi passati una connotazione religiosa e veniva utilizzato come elisir di lunga vita.
Già al tempo dell’Antica Grecia, da Pitagora ad Epimenide, il digiuno assumeva una connotazione mistica poiché permetteva l’avvicinarsi al divino. Nella cultura cristiana troviamo il Vecchio Testamento dove è riportato il digiuno come mezzo per accedere alle rivelazioni divine.
In tempi più moderni, nel 1800 Dewey nel suo libro The True Science of Living, elogiava i vantaggi del digiuno, così come fecero anche Charles Haskell e più tardi Upton Sinclair. Inoltre nel 1880 Tanner sperimentò il digiuno per 40 giorni .
In Francia dal 1910 il digiuno fu applicato come terapia anti-convulsiva (Kerndt et al. 1982).
Solo nel 1915, Folin e Denis applicarono il digiuno come metodo sicuro ed efficace per la perdita di peso. In tempi più recenti si ricorda l’applicazione del digiuno su soggetti obesi da parte di Bloon, Duncan e colleghi.
Fisiologia del digiuno
Dal punto di vista metabolico, il digiuno viene inquadrato in due principali tipologie:
- il digiuno a breve termine (in inglese fasting)
- il digiuno a lungo termine (chiamato starvation).
Il primo caso identifica il periodo di tempo che intercorre tra la cena e la colazione del mattino successivo: un periodo di 10-12 ore di completo digiuno, dove il corpo attua tre fasi principali:
- Un stadio di post-assorbimento dove si ha la soppressione della neoglucogenesi epatica. Un aumento delle protein-chinasi per sintetizzare nuovo glicogeno da stoccare non soltanto nel fegato (poiché mediato da un meccanismo insulino-indipendente) ma anche nei muscoli e nel tessuto adiposo. Il rilascio di insulina in seguito al pasto porta ad un’aumentata produzione di acidi grassi che verranno stoccati nel tessuto adiposo. Questo processo dipende dal quantitativo calorico e macronutritivo assunto nel pasto. Per gestire il glucosio che si riversa nel sangue, i GLUT-2 iniziano a stoccare glucosio nel tessuto epatico.
- Il digiuno di breve periodo, dove si ha un’inversione degli ormoni pancreatici: un abbassamento dell’insulina circolante e un aumento del glucagone. Il glucagone prodotto dalle α-cellule pancreatiche permetterà di aumentare il rilascio di zucchero da parte del fegato. Questo manterrà costanti i livelli di glucosio nel sangue. Contemporaneamente si assocerà un aumento della formazione di cAMP, con conseguente inibizione della glicogeno sintasi. È in questa fase che l’ingresso del glucosio nel muscolo decrementerà a causa dei livelli più bassi di insulina circolante. Il cervello degraderà il glucosio a CO2 e H2O, con il risultato che verrà richiesta una nuova fonte di carbonio da cui attingere energia. Qui entrerà in gioco la lipolisi e il glicerolo proveniente dal tessuto adiposo e dalle proteine muscolari.
- La ricarica (refed state). Il pasto porrà l’accento sull’inversione dei processi rispetto a quanto accaduto durante la notte, ripreparando lo stadio del post-assorbimento.
Questa forma di digiuno, di breve durata, riconducibile solo ad una notte di sonno può essere protratta per una giornata se il nostro intento è esaurire le scorte di glicogeno (Berg, Tymoczko, Stryer 2002).
In condizione di digiuno protratto (circa 36 ore di digiuno) il nostro corpo avrà una sola priorità: rifornire i tessuti periferici, in particolar modo il cervello e i muscoli, di nuovo glucosio.
Per produrre nuovo glucosio ci sono due fonti energetiche: il glicerolo contenuto nei trigliceridi e le proteine muscolari. Il glicerolo è poco disponibile e l’utilizzo delle proteine porterà ad un abbassamento delle funzionalità corporee. Le proteine forniranno lo scheletro carbonioso per la neoglucogenesi.
Dall’acetil-CoA si formeranno l’acetoacetato e il β-idrossibutirrato. Dopo settimane di regime fortemente ipocalorico i corpi chetonici diventano la principale fonte energetica del cervello. Nel digiuno prolungato la degradazione di circa 20 g di muscolo permette la sopravvivenza unito alle scorte di trigliceridi stoccati nel corpo.
Scendiamo nel dettaglio…
Il digiuno a breve termine fino ad un massimo di 24-36 ore sembra utile per la soppressione dell’NLRP3, una proteina centrale nel modulare i processi infiammatori (Abderrazak et al. 2015; Baroja-Mazo 2014). La modulazione dell’NLRP3 sembra influenzata dalla SIRT3, una sirtuina responsabile a livello mitocondriale dell’abbassamento di radicali liberi.
Un digiuno prolungato oltre 48 ore causa un aumento della produzione dei corpi chetonici in cui il β-idrossibutirrato è coinvolto. Questo fenomeno inibisce l’espressione dell’NLRP3 abbassando i processi infiammatori.
Gli effetti non sembrano fermarsi qui. Il digiuno modifica le quote di ormone della crescita o ormone somatotropo (GH). La produzione di GH è influenzato dal sonno, dall’allenamento e dalla dieta. In particolare l’aumento del tenore proteico giornaliero potrebbe aumentare le concentrazioni di ormone della crescita (Ho 1988). Si è visto come un’alimentazione frazionata, cioè con tanti piccoli pasti al giorno, riduce i picchi di ormone somatotropo rispetto ad un certo numero di ore di digiuno (Labhart 1974).
I livelli di insulina e di T3 durante il digiuno scendono e la glicogenolisi fornisce circa il 75% delle richieste di glucosio ematico e cellulare nelle prime ore di digiuno. Inoltre si verifica un aumento dell’utilizzo degli aminoacidi ramificati nei primi 5 giorni di digiuno (Felig et al. 1969; Kerndt et al. 1982).
La caduta del glucosio plasmatico sembra più evidente nella donna rispetto all’uomo (Merimee, Tyson 1974). Nel digiuno prolungato diventa evidente il ruolo dei trigliceridi che possono arrivare a fornire circa l’85% delle calorie potenzialmente utilizzabili (Kerndt et al. 1982).
Inoltre il digiuno prolungato porta ad una conversione di T4 in T3 e da T3 in rT3 (reverseT3). Il T3 inverso è responsabile della minor richiesta energetica e dell’abbassamento del metabolismo basale. Si verifica inoltre a causa del maggior stress ossidativo l’aumento della 3-metil-istidina che provoca la perdita di tessuto magro.
Questi cambiamenti ormonali sono accompagnati da una caduta dell’ormone luteinizzante (LH) e del follicolo stimolante (FSH).
Le sensazioni psicologiche positive che accompagnano il digiuno di breve durata sono in contrapposizione con la letargia mentale, l’apatia e l’irascibilità del digiuno di lunga durata (Kerndt et al. 1982).
Ciò che si è potuto constatare è il ruolo del digiuno nella modulazione dei processi infiammatori e nel controllo della pressione arteriosa (Longo, Mattson 2014).
Il digiuno intermittente: pro e contro
Nel mondo clinico, l’utilizzo del digiuno intermittente permette di controllare il peso corporeo e migliorare l’utilizzo dei grassi di deposito.
Una ricerca del 2011 ha dimostrato in soggetti sovrappeso che una dieta intermittente per 6 mesi in cui sono inseriti due giorni settimanali a regime ipocalorico (500-600 kcal), migliora la sensibilità insulinica, incentiva il consumo del grasso addominale e riduce la pressione arteriosa (Harvie et al. 2011).
Un digiuno a giorni alterni (ADF) sembra esercitare un’azione anti-sindrome metabolica (Halberg et al. 2005).
Attenzione però ai dati che emergono dalle ricerche: persone sottopeso, i bambini e gli anziani non possono eseguire protocolli di digiuno intermittente. In queste fasce di popolazione va prestata maggiore attenzione. In aggiunta, il digiuno non è inteso solamente come l’interruzione dell’apporto nutrizionale, ma viene associato ad una dieta fortemente restrittiva (500-600 kcal al dì) dove si presti attenzione però alla una condizione di idratazione (Longo, Mattson 2014).
Digiuno: tiriamo le somme!
Il digiuno è una pratica antica e utilizzata in tutti i popoli del mondo. Gli studi hanno provato come il digiuno nel breve periodo garantisca una serie di vantaggi metabolici per mantenere attivo il corpo, controllare il peso corporeo, migliorare la sensibilità insulinica e ridurre lo stress ossidativo.
Per quanto l’idea di tanti piccoli pasti al giorno non mi abbia convinto anche dopo aver studiato nutrizione, passare dal lato opposto, mi pone una serie di dubbi:
- Chiediamoci sempre per chi è utile il digiuno e quando;
- Chiediamoci quante chilocaloriche assumiamo nella fase fasting: se parliamo di 500-600 kcal al giorno la pratica può avere un senso se praticata per un solo giorno alla settimana con una finalità di “starter metabolico”. Nei soggetti sportivi che si allenano tutti i giorni però è a dir poco surreale visto l’impegno a loro richiesto a livello giornaliero;
- Nei soggetti potenzialmente in sovrappeso e negli obesi può essere una buona strategia, ma andrebbero monitorati da esperti del settore. La grelina è un ormone pulsatile che segue ritmi basati anche sulle abitudini. In altre parole non è credibile che una persona abituata a mangiare 4000 kcal o più al giorno riesca a resistere con un regime a basso tenore chilocalorico senza uno stretto controllo medico;
- Ragionare sul solo approccio nutrizionale non permette di dimagrire ed avere effetti duraturi nel tempo. E’ necessario associare una determinata quantità di lavoro fisico settimanale: ricordiamo che anche l’attività fisica è un forte “starter metabolico” e ormonale
La vera ragione che giustifica il digiuno? La vita poco regolare.
Spieghiamoci meglio.
Digiuno: qualche critica costruttiva
L’aumento della sedentarietà e l’utilizzo del junk food, giustificano oggi più che mai approcci estremi e poco convenzionali. Al contrario se la popolazione avesse una dieta bilanciata, dove durante l’anno sono inserite singole giornate a basso tenore calorico, il fenomeno legato alle “diete estreme” sarebbe decisamente poco diffuso.
La verità è che la destrutturazione dei pasti, le abitudini di vita scorrette pongono una serie di problemi che si ripercuotono sulla nostra salute, oltre che sulla nostra estetica.
Le ricerche hanno mostrato effetti positivi dal punto di vista metabolico con il digiuno su soggetti sovrappeso o persone in salute in cui non è stata monitorata però la tipologia di pasti consumati durante la giornata e la loro frequenza.
È innegabile d’altro canto che diverse ricerche hanno messo in luce come periodi di digiuno durante l’anno aumentino l’aspettativa di vita e migliorino l’efficienza dei processi biologici (Sogawa, Kubo 2000) non solo in acuto, ma anche nel lungo periodo (Katare et al. 2009).
Forse vi sto confondendo e non sto facendo trasparire cosa penso davvero.
Se volete un’opinione personale penso che il digiuno sia utile in pochi momenti scelti durante la nostra settimana (ma non è un’opinione solo mia, quanto un dato di fatto anche di diverse ricerche). Ma il messaggio rischia di essere captato da chi è affetto da disturbi del comportamento alimentare e potrebbe innescare la giustificazione di credere che anche un digiuno cronico non controllato possa migliorare la salute. In questo caso si cade nella patologia e nella malnutrizione, proprio come lo è, dal versante opposto, l’obesità.
Il digiuno controllato per poche decine di ore, alternato a giorni di dieta normo calorica, può avere ottimi effetti benefici sulla nostra salute: per esempio 6 giorni di dieta normo calorica e un giorno di dieta ipo calorica.
La verità è che essendo una popolazione sedentaria, anche chi esegue tre ore di allenamento settimanali in palestra, non dovrebbe preoccuparsi di mangiare poco un giorno a settimana. E’ meglio ridimensionare razionalmente tutti i cheat meals che si tendono a consumare durante gli altri giorni.
In sostanza “Mangiate per ciò che farete, mai per ciò che avete fatto”. È una regola non universale, ma utile per la maggioranza dei casi.
Moderare la dieta permette di migliorare la qualità di vita, inoltre unita ad una buona dose di attività fisica settimanale diventa un elisir di lunga vita.
A cura del Dottor Giulio Merlini.
Il presente articolo non costituisce in alcun modo una consulenza professionale né vuole sostituirsi ad esperti abilitati del settore. Nella maggior parte dei casi le ricerche citano persone patologiche affette da obesità o altri quadri clinici. Il presente articolo è informativo. Si declina ogni responsabilità dall’applicazione delle informazioni contenute in esso senza supervisione di personale medico.
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BIBLIOGRAFIA – REFERENCES:
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