Fatica e infortuni nello sport
Fatica e infortuni nello sport. Un tema importante che affronteremo partendo da una premessa storica.
Nel corso dei secoli lo sport ha attraversato un processo che ha visto un’importante evoluzione: dall’essere un semplice intrattenimento fino ad essere considerata una vera e propria professione.
Allenarsi per delle competizioni implica il fatto di aumentare il carico di lavoro, stimolando una serie di processi omeostatici e di adattamento del corpo da parte dell’atleta. L’obiettivo principale di questo processo è quello di ottenere un incremento prestativo cercando di incrementare il carico di lavoro coerentemente con l’accumularsi dei livelli di fatica. Sulla base di ciò gli atleti d’elitè aumentano progressivamente il volume e l’intensità dell’allenamento in modo da massimizzare la performance (Booth & Thomason 1991).
Ma qual è il limite fino al quale ci si può spingere? Qual è la linea di demarcazione tra il progressivo accumulo di fatica e il rischio di incorrere in una situazione di overreaching non funzionale con la possibilità di infortunarsi?
Fatica e infortuni nello Sport
Sebbene l’eziologia degli infortuni negli sport sia multifattoriale, comprendendo fattori intrinseci ed estrinseci, l’evidenza dimostra che l’incapacità di gestire il carico di allenamento senza bilanciarlo adeguatamente con il recupero, possa incrementare il rischio di infortunio (Drew & Finch 2016).
Monitoring del carico interno ed esterno dell’allenamento
Misurare il carico interno solitamente consiste nel quantificare le ore di allenamento, i metri percorsi durante una corsa, i watt prodotti, il numero di partite giocate, e molto altro. Tuttavia esistono altri fattori che influenzano la prestazione che possono portare, sommati ai fattori esterni, ad un accumulo di fatica che aumenta il rischio di infortuni. Questi sono i fattori interni ai quali è necessario attribuire una certa importanza, come la vita privata o lo stress psicologico derivato da situazioni personali, i quali portano a una modifica sulla scala di percezione della fatica (Rate Perceived Exertion) (Borresen & Lambert 2009).
Carico assoluto e rischio di infortuni
La maggior parte degli studi cerca una correlazione tra il rischio di infortunio e il carico assoluto. Una cattiva gestione dell’allenamento o delle competizioni può incrementare il rischio attraverso una varietà di meccanismi. Ad esempio a livello tissutale la prestazione può portare a microlesioni muscolo-tendinee o stress articolare. Se la magnitudo del carico è al di sopra della capacità del corpo di sopportare quel determinato sforzo, oppure se il recupero tra i cicli di allenamento non è stato sufficiente, il rischio di infortunarsi aumenta.
Questo meccanismo è alla base del modello legato all’eziopatogenesi degli infortuni causati da overuse, il quale include stress osseo (Warden et al. 2014), tendinopatie (Magnusson et al. 2010) e sindrome femoro-rotulea (Dye 2005). Questo modello suggerisce anche l’accumulo di fatica a livello tissutale a causa del sovraccarico ripetitivo e cumulativo, il quale può incrementare la suscettibilità agli infortuni del legamento crociato anteriore (Lipps et al. 2013).
A livello psicologico un carico assoluto inappropriato può incrementare il rischio di infortuni causando una cattiva gestione nel decision-making, una riduzione della capacità coordinativa e un decremento nel controllo neuro-muscolare.
La fatica inoltre può portare a una riduzione della prestazione di forza e della velocità di contrazione muscolare, andando a incrementare la rigidità dei tessuti passivi (Skinner et al. 1986) alterandone la cinetica, la cinematica e i feedback neurali, riducendo infine la stabilità articolare (Thomas et al. 2010).
Carico relativo e rapidi cambiamenti nel carico di allenamento
Mentre molti studi valutano il carico assoluto documentando una correlazione tra alti e bassi carichi in relazione agli infortuni, l’errore che spesso viene commesso è quello di non analizzare la storia del carico dell’atleta. Recenti studi indicano che un alto carico assoluto potrebbe non creare problemi di per se, ma piuttosto un eccessiva velocità nell’incremento del carico al quale l’atleta viene esposto può aumentare il rischio di infortuni. Nello specifico un elevato cambiamento settimanale nell’aumento di intensità, durata o frequenza è stato visto che ha aumentato significativamente il rischio di infortuni.
È stato ipotizzato (Banister & Calvert 1980) un modello definito “rapporto cronico del carico” dove è stato dimostrato come un incremento graduale del carico nell’arco di 4 settimane può portare a un miglioramento nella prestazione e una riduzione del rischio di infortuni piuttosto che un aumento acuto del carico di allenamento.
È stato interessante vedere come anche un lavoro di Hulin (Hulin et al. 2016) abbia correlato il rapido incremento del carico di allenamento ad un maggior rischio di infortuni rispetto al modello sopra proposto, questa correlazione incrementa da 2 a 4 volte la possibilità di infortunarsi.
Calendario gare e rischio di infortuni
È risaputo che il calendario gare in molti sport preveda un accumulo di partite o eventi in un periodo di tempo ristretto, il quale può portare a un rapido incremento del carico imposto agli atleti.
Jayanhti (Jayanthi et al. 2009) ha investigato il rischio infortuni nei tornei nazionali junior della Lega di tennis Statunitense, trovando che il numero di ritiri a causa dell’insorgenza di infortuni incrementava significativamente se i tennisti giocavano 5 o più partite rispetto a chi giocava 4 o meno partite in un torneo. Comparando i dati è stato visto come gli atleti d’elite invece non erano soggetti a tale rischio.
Nei rugbisti (Murray et al. 2014) è stato visto che c’è una correlazione tra infortuni e un periodo competitivo ricco di partite, tuttavia è stato osservato che il rischio di infortuni dipende molto dal ruolo del giocatore.
Anche nel calcio è stato osservato che non ci sono state differenze tra atleti che giocavano partite più frequentemente (<3) o meno frequentemente (>4) comparando i giorni di recupero tra di esse. Ma c’è stato un incremento nel rischio quando sono stati comparati 3 o 4 giorni di recupero rispetto a 6 giorni (Bengtsson et al. 2013).
Conclusioni
In conclusione si può affermare come l’affaticamento sia una parte fondamentale per quanto concerne l’insorgenza degli infortuni, che siano essi da contatto in sport situazionali a infortuni spontanei in sport singoli. Imparare a gestire la fatica e a ritardarne l’insorgenza sono due strade che potrebbero portare a un miglioramento di questa condizione altamente debilitante per l’atleta.
A cura del Dr. Samuele Cravanzola
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BIBLIOGRAFIA – REFERENCES (parte 2)
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