Il drop out sportivo: l’abbandono dall’attività sportiva
In Italia si è fatto un grande lavoro informativo e promozionale verso lo sport, spiegando la sua importanza nel praticarlo fin dai primi anni d’età.
Questi sforzi hanno portato i loro benefici. Infatti con 6 bambini su 10, i più piccoli hanno il primato di essere i più sportivi d’Italia.
Il drop out sportivo
Che cos’è?
Il problema su cui focalizzarsi adesso è sul fenomeno chiamato “drop out”, ovvero c’è un periodo nella vita sportiva dei ragazzi che va dai 14 a 20 anni dove tutto viene messo in discussione, in cui la maggior parte di loro si ritrova a non avere più la passione e l’interesse nel praticare un’attività sportiva.
Tutto questo porta il 40% dei ragazzi ad abbandonare la pratica sportiva. Questo è una sconfitta per loro e per le società sportive.
Il drop out sportivo è l’abbandono dell’attività scelta.
Le possibili cause
Cercheremo di capire se la colpa è da imputare ad un singolo esponente.
Cambiamenti nel giovane
Partiamo con il dire che la colpa non è di nessuno in particolare, non è dei ragazzi, né dei genitori, né degli allenatori o delle società sportive.
Un punto fondamentale che andrebbe analizzato è che sia lo sport e i ragazzi in questa particolare fase attraversano un cambiamento, un mutamento dei loro principi.
C’è una fase iniziale in cui la pratica sportiva viene giustamente vista come un momento di socialità, di scoperta dell’altra persona e del proprio corpo, quindi un momento di inclusione. In cui attraverso dei giochi guidati i bambini imparano a muovere il proprio corpo in differenti ambienti, con differenti attrezzi e interagendo con altri bambini.
Successivamente il focus non viene più messo sulla persona, ma sull’avversario e sul risultato finale (vincere). Concentrandosi sulla ripetizione di schemi motori e tattiche, finalizzate alla vittoria. In questo contesto la scoperta e la creatività motoria vengono ridotte al minimo.
I bambini vedono inizialmente l’attività sportiva come un momento di gioco, di svago e sono contenti nel farla.
Successivamente si passa ad una fase in cui quello che gli viene proposto non li stimola più, abbassando così la loro motivazione. Proporzionalmente cresce la pressione del risultato, alimentata dalla società sportiva, dall’allenatore e dai genitori. Mentre in questa fase i ragazzi stanno entrando nell’adolescenza, periodo in cui sono poco propensi agli schemi rigidi, a stimoli continuativi sempre uguali a cui vengono sottoposti durante gli allenamenti.
Come si può notare sport e ragazzi, in questa fase, sembrano andare su due rette ben distinte.
Lo sport ricerca: precisione, allenamenti duri e vittorie.
I ragazzi ricercano: libertà da schemi fissi, nuove esperienze e divertimento.
Questo punto risulta importante perché andrebbe fatta un’attenta analisi, chiaramente ci sono ragazzi che anche in età adolescenziale ben si sposano con le richieste dello sport, ma il lavoro che andrebbe fatto sarebbe quello di ridurre al minimo la percentuale (che in questo momento si aggira in torno al 40%) di abbandono delle pratiche sportive che colpisce molti ragazzi.
Esiste un modo per ridurre il drop out sportivo?
Per cominciare si dovrebbe cercare di capire se il ragazzo/a è veramente appassionato allo sport che sta praticando e, altro punto importante, se al ragazzo/a piace l’aspetto competitivo dello sport. Perché se così non fosse bisognerebbe puntare su altro, per esempio delle attività motorie che non danno importanza o in cui non è proprio presente la parte competitiva, anche perché non è obbligatorio che a tutti debba piacere la competizione, il ricercare sempre e comunque la vittoria.
L’importante è capire questo aspetto prima del fatidico drop out sportivo, perché una volta che i ragazzi abbandonano vuol dire che hanno raggiunto il loro limite di sopportazione e sarà poi molto difficile proporgli un’altra soluzione, anche non competitiva. Questo porterà ad anni di inattività fisica, in un periodo della vita dove da studenti si passano minimo 8 ore al giorno seduti e senza alcun tipo di attività fisica.
Non bisogna dimenticarsi del 60% dei ragazzi che rimangono a praticare sport. Se loro rimangono non vuol dire che non bisogna cercare di modificare alcuni concetti, cercando di migliorarli.
Per cominciare si potrebbe lavorare sul concetto della “vittoria a tutti costi” e della “vittoria è l’unica cosa che conta”.
Le necessità dello sport di ragionare secondo il concetto di vittoria
Uno dei più grossi problemi è l’esasperazione della competizione e l’importanza esagerata che viene attribuita alla vittoria, e a catena tutti gli altri aspetti che si porta dietro un’impostazione mentale di questo genere.
Alcuni potrebbero dire che la sana competizione è uno dei principi cardine dello sport e questo è assolutamente corretto. Il problema è che la parola “sana” molto spesso viene dimenticata, lasciando spazio all’accezione negativa del termine, ovvero dove l’unica cosa importante è battere l’avversario, a tutti i costi e con ogni mezzo, a volte, anche quelli meno leali.
E questo purtroppo è come vengono cresciuti i ragazzi in alcune società sportive. Chiaramente vincere piace a tutti, ma se ai ragazzi viene insegnato che se non vinci hai fallito, allora stiamo sbagliando tutto.
L’attenzione andrebbe posta sui ragazzi non sulla vittoria. Quest’ultima deve essere una conseguenza. Insegniamo ai ragazzi ad accettare le sconfitte e a prendere spunto da quest’ultime, in modo che possano stimolarli a migliorarsi. Molte volte i ragazzi vengono trattati come dei professionisti adulti e non è corretto che vengano trattati come quello che non sono, nonostante nello sport si ricerchi sempre più la specializzazione precoce dei giovani.
Questa morsa di ricerca del risultato in cui vengono stretti risparmia solo pochi ragazzi che riescono a “sopravvivere” e a diventare degli sportivi. E per gli altri questi livelli così alti di pressione possono portare a dei lati negativi, come:
- infortunio;
- bassa autostima;
- assenza di divertimento.
Se una persona si allena o compete senza la giusta serenità verso quello che sta facendo avrà un rischio di infortunio maggiore.
Inoltre se nella testa dei ragazzi l’idea è “se non vinco non valgo”, andranno incontro ad una scarsa concezione di sè e questo si rifletterà anche su aspetti sociali che non riguardano solamente lo sport.
Per i ragazzi in questa fase (ma questo vale per tutti gli sport e in ogni fase) la componente del divertimento non dovrebbe mai mancare, perché se no lo sport verrà visto come un obbligo e non un piacere.
Il rapporto genitore-figlio e il drop out sportivo
Un paragrafo va assolutamente dedicato al rapporto genitori/figli nell’ambito sportivo.
È importante che i genitori non vadano a sommarsi alle pressioni che i ragazzi ricevono. In primis a scuola e successivamente nello sport che praticano. Quindi i genitori dovrebbero supportare i ragazzi e non forzarli a diventare quello che secondo loro dovrebbero diventare, per non rischiare di ottenere il risultato opposto. Perché un ragazzo che si sente supportato e spronato dai propri genitori sicuramente in campo riuscirà ad esprimere al meglio il suo potenziale.
CONCLUDENDO
Non esiste solo lo sport competitivo e non tutti i ragazzi sono portati a competere e lo scriviamo apertamente anche in un portale come il nostro.
L’aspetto chiave è impedire che i ragazzi finiscano sul divano senza voglia e senza interessi. Questa sarebbe la più grande sconfitta.
Quindi bisognerebbe parlare con i ragazzi e cercare di capire se quello che stanno facendo li appassiona veramente o iniziano a sentirsi nel posto sbagliato e poi muoversi di conseguenza.
Per quanto riguarda le società sportive, chiaramente il loro interesse è vincere, è inutile prendersi in giro, ma forzare i ragazzi (soprattutto in questa fascia d’età) trattandoli come sportivi professionisti, potrebbe avere un risultato solo nel breve. Inutile dire che ritrovarsi da una stagione all’altra con il 40% della squadra in meno sarà poi un gran problema da gestire.
Quando ragazzo, genitori e società sportiva riescono a “correre” tutti nella stessa direzione e non in direzioni diametralmente opposte, è in quel momento che tutti è tre i protagonisti traggono i migliori benefici.
Difficile, ma non impossibile.
A cura di Pietro Raniello
Corso di principi dell’allenamento sportivo, interamente online e con rilascio attestato di partecipazione digitale!