Libera professione: gestione finanziaria ed economica
Molti che apriranno questo link resteranno delusi dal leggere che non si parla di competenze universitarie o di come emergere nel mondo del lavoro, ma di come gestire la libera professione e non commettere tutti quei passi falsi che rischiano di compromettere la qualità del lavoro.
Per quanto siamo legati ad una cultura dove si parla spesso di denaro, ma al contempo è una tematica che accende i malumori, è necessario chiarire una cosa che a molti non piacerà: avere un titolo di studio non da alcun diritto di guadagnare tanto. Allo stesso tempo le lamentele che vengono portate sul banco degli imputati quando si parla di frustrazioni della libera professione sono spesso le seguenti:
- si pagano troppe tasse;
- non si hanno garanzie di guadagno;
- si paga una previdenza, ma il dubbio di quando e con quanto si andrà in pensione resta.
Procediamo con ordine e capiamo perché un libero professionista, prima di preoccuparsi di questi aspetti, dovrebbe avere ben chiaro che se ha una corretta pianificazione e gestione della propria attività abbatte il rischio di doversi preoccupare. Spoiler: molti pensano di gestire bene la loro attività, ma in realtà non lo fanno. In questo articolo capiremo il perché.
Libera professione: gestione finanziaria ed economica
Quel rischio d’impresa sottovalutato
Se da un lato siamo surclassati da una burocrazia lenta, eccessiva e in continua trasformazione al punto tale da non poter pianificare correttamente la propria vita finanziaria ed economica per periodi di tempo medio-lunghi, dall’altra parte è necessario sfatare alcuni falsi miti. Primo tra tutti: il libero professionista NON paga più tasse di un lavoratore dipendente.
Ha però un rischio d’impresa ben più alto e questo pone alcune questioni che devono essere chiare a chi vuole diventare un libero professionista. Tra queste troviamo il fatto che deve avere tariffe commisurate al suo rischio d’impresa.
Ma procediamo con ordine e cerchiamo di capire cosa significa rischio d’impresa.
Il rischio d’impresa è diverso tra professioni di diverse aree ed è anche piuttosto complesso fornire una definizione corretta ed esaustiva. Può essere definito come il complesso delle responsabilità individuali, aziendali e gestionali del professionista.
Nella libera professione infatti, abbiamo:
- un affitto di uno o più studi professionali e relativi costi e spese;
- le tasse da pagare che non vengono scalate a monte, ma è premura del professionista accantonare l’ammontare economico (e conoscere PRIMA quanto andrà a pagare);
- il commercialista;
- una previdenza da pagare (INPS, ENPAB, ENPAM,…);
- spese corollarie non scaricabili per legge (o almeno non del tutto), ma che sono parte integrante della libera professione e costituiscono voce di spesa;
- corsi di aggiornamento nazionali e/o internazionali con spostamenti, pernottamenti e giorni di lavoro e/o riposo annullati;
- un aggiuntivo che rientri nel “rischio personale” qualora ci si ammali o ci si debba fermare per cause di forza maggiore (polizza sanitaria privata);
- le attività di promozione della propria figura professionale dall’impatto economico variabile.
Queste voci sono solo le principali voci di spesa e vanno conteggiate quando formuliamo un tariffario. Risulta normale che coloro che hanno fatto della libera professione la loro unica ragione di vita, non possono ritrovarsi ad avere l’acqua alla gola tutti i mesi per tariffe pensate male, persino nei mesi considerati “buoni” a livello lavorativo. Questo implica un problema enorme che si ripercuote anche sul cliente finale e riguarda la qualità nel lungo periodo del servizio erogato.
Un professionista stressato con il pensiero costante di risolvere problemi logistici, finanziari ed economici avrà un rischio più alto di burnout con un peggioramento della qualità della vita e del servizio offerto. Ricordiamoci che non ci rimette solamente il professionista, ma anche il cliente finale.
La paura di chiedere il giusto
Il problema principale che impatta enormemente sulle finanze e sulla qualità del servizio offerto è la paura di chiedere la cifra corretta. Sono tantissimi i professionisti infatti, anche di vecchia data, che hanno paura di farsi pagare il giusto. Non si sa se sia per l’ansia di perdere clienti o se per paura di “chiedere troppo”, ma su questo è necessario dirlo apertamente: non abbiate paura di chiedere quanto è giusto chiedere. La parola “giusto” può trarre in inganno. Se è giusto chiedere una cifra ben più alta della media per assolvere alle voci di spesa e per erogare il servizio qualitativo che volete fornire cercate di non farvi impressionare da colleghi che chiedono un terzo di voi.
Ricordate che chiedere poco non è un plus valore, ma cela spesso delle insidie che possono diventare irrisolvibili con il tempo. Immaginiamo un professionista che si comporta come un lavoratore dipendente: pur di riempire 8-10 ore al giorno è disposto a farsi pagare 20 Euro (lordi). Siamo sicuri che lavorare tanto sia sinonimo di guadagnare bene e con una buona qualità di vita?
Avete calcolato nella vostra tariffa il tempo investito al telefono con il cliente con il rischio che questo abbassi direttamente la tariffa da voi richiesta e sottraendo tempo che potete dedicare ad altro? Riuscite con quella tariffa ad assolvere a tutte le voci di spesa che abbiamo citato all’inizio dell’articolo?
Nella cifra da chiedere rientra inoltre una tematica davvero sottovalutata da tantissimi: il guadagno da distribuire su 12 mesi che però deve essere guadagnato in 10 mesi. Il lavoratore dipendente ha solitamente 12 o 13 mensilità (per non parlare di chi percepisce la quattordicesima). Il lavoratore autonomo quanto deve chiedere per avere un buon netto nei 12 mesi e abbattere i mesi in cui non lavora (per ferie e/o malattia)?
Nel caso in cui per ragioni di salute ci si debba fermare per 2 mesi consecutivi, si ha un serbatoio economico abbastanza capiente per pagare tutte le spese? Tutte queste considerazioni DEVONO rientrare nelle riflessioni classiche per un libero professionista che deve badare alla sua sussistenza.
Fatturato VS guadagno
Altro tema fondamentale è la differenza tra fatturato e guadagno.
In molti articoli che circolano nel web si confondono termini di base e tra questi salta fuori puntualmente la confusione tra fatturato e guadagno. Fatturare tanto non vuol dire guadagnare tanto. Dal fatturato dobbiamo togliere tutte le voci di spesa che abbiamo elencato, comprese quelle non scaricabili. Questo significa che un professionista potrebbe paradossalmente fatturare 100.000 Euro, ma se le voci di spesa incidono per 90.000 Euro, di fatto è in bancarotta. Per chi sta pensando che sia impossibile fatturare tanto e guadagnare poco, basti pensare alle aziende che giocano sui passivi con il rischio di fallire e tra queste ci sono molte multinazionali che fatturano decine di milioni, ma sono costantemente indebitate e chiedono prestiti periodicamente (alle volte è una strategia per espandere l’azienda, altre volte è semplicemente una mossa avventata).
Perciò fatturare tanto non vuol dire guadagnare tanto.
Un libero professionista con uno studio fuori budget e con spese elevate rischia di dover chiudere se si presenta un imprevisto. Stesso identico discorso colui che chiede tariffe inappropriate e deve trovarsi un secondo lavoro per sostenere la partita IVA. A questo aggiungiamo un fattore importante: l’età. Più l’età avanza e meno si riesce a lavorare 10 ore al giorno con la stessa concentrazione di prima (fermo restando il poco senso nella filosofia di lavorare 10 ore al giorno). Se abbiamo chiesto tariffe troppo basse come facciamo a compensare l’età che avanza che riduce progressivamente le nostre energie? Riflessioni che vanno fatte e dovrebbe essere un obbligo per il professionista conoscere tutti gli aspetti finanziari ed economici della libera professione.
La libera professione: quelle frustrazioni che fanno scaricare le responsabilità (nostre) sugli altri
Nei diversi corsi di formazione abbiamo incontrato tanti liberi professionisti tra cui personal trainer e biologi nutrizionisti. Diversi di loro si lamentano dei fatturati e della difficoltà di avere una tariffa soddisfacente tale da potersi concedere investimenti per ottimizzare il proprio lavoro e aumentare la propria qualità di vita. Alcuni hanno proprio problemi a monte nel trovare i clienti, ma questa è una tematica che affronteremo in altri editoriali.
Ogni volta che sentiamo questi discorsi cerchiamo di porre le stesse domande che trovate in questo articolo e scopriamo con dispiacere che tantissimi hanno stilato tariffe sull’imitazione di quanto chiedono i colleghi, ma senza aver fatto una reale riflessione e pianificazione del proprio business.
Quando questo accade è bene fermarsi un momento e ripensare al proprio lavoro (e al proprio tariffario). È fondamentale che il professionista abbia ben chiaro che una qualità di vita più alta significa anche poter seguire meglio i clienti e offrire un servizio migliore, con vantaggi innegabili nel tempo anche per avere armi contro i competitor.
Altre volte notiamo in diversi gruppi vere e proprie battaglie dialettiche su “quanto è giusto chiedere”, ma qui fermiamo subito la discussione perché è priva di senso logico. La libera professione non ha una tariffa giusta (se alta) inappropriata. Il vero problema sono le tariffe troppo basse, tanto che alcuni Ordini Professionali impongono (spesso su carta e nulla più) un tariffario minimo e giustamente non c’è invece il tariffario massimo. Vi siete mai chiesti il perchè?
Ultimo aspetto che leggiamo a malincuore e puntualmente sbuca fuori anche nei corsi di formazione: il diritto di guadagnare tanto solo perché nella vita abbiamo studiato e abbiamo un titolo. Non per deludere coloro che hanno fatto della lamentela la loro maggior virtù, ma aver studiato o essere laureati non vi da la garanzia di guadagnare, specie se avete scelto di essere dei liberi professionisti.
La libera professione richiede competenze che purtroppo non insegnano all’Università e molti scelgono una professione senza conoscere davvero cosa andranno a fare e la tipologia di mercato in cui stanno entrando (con i pro e i contro). Di fatto si esce dalle Università con un’ignoranza finanziaria preoccupante, ma si pretende che il mondo ci riconosca il nostro posto. Ci siamo mai domandati se conosciamo le regole del mondo e le regole del mercato economico in cui vogliamo emergere? Per essere dei buoni liberi professionisti è necessario maturare competenze trasversali, conoscere le basi dell’economia e gestire correttamente la propria situazione finanziaria, nel buono e nel cattivo tempo. Solo così saremo professionisti migliori, lavoreremo meglio e con meno frustrazioni.
Corebo – Formazione e Aggiornamento
Photo by krakenimages on Unsplash