Protesica di gamba e sport: un binomio sempre più sinergico
Praticare sport nonostante una ridotta funzionalità di uno o più arti inferiori non è più né un tabù né una rarità. Le frequentazioni di atleti o semplici appassionati che a causa di un’amputazione di gamba si trovano a “vestire” quotidianamente una protesi anche in palestra è sempre più consueta. Ciò desta, fortunatamente, sempre meno scalpore. Anzi, in un contesto storico in cui la cosiddetta “iperbole dell’eroe” è spesso assegnata proprio al disabile – anche in virtù della sovraesposizione mediatica e social dei nostri tempi – non sono rari i casi in cui si diventa sportivi solo a seguito di un’amputazione, dopo una vita intera trascorsa in modo decisamente più sedentario: un paradosso? Meno di quel che si pensi. Sarà la sfida con se stessi, sarà la ricerca di un nuovo “io” più soddisfacente, oppure proprio la possibilità di un’approvazione di chi ci circonda che nel tempo è aumentata a dismisura, fatto sta che lo sport sta al disabile tanto quanto lo stesso contesto sta a chi disabile non lo è. E meno male.
Ma in qualità di tecnici dello sport, gestori di una palestra, di una piscina, di un box di CrossFit, di una parete da arrampicata… Come possiamo relazionarci, nel nostro quotidiano, con chi ha vissuto l’esperienza di un’amputazione di gamba e si ritrova a voler fare sport nonostante la coesistenza con un elemento esterno ben più vincolante di una scarpa o di un pantalone? I fattori che rientrano in un’ipotetica valutazione del caso sono tanti e mapparli è impresa ardua. Diciamo pure impossibile a causa della soggettività. Quindi, siccome le imprese ardue ci piacciono, ci proviamo.
In questo articolo proviamo a suddividere il tema per argomenti, cercando di restare “alti” rispetto alle singole discipline e intervenendo solamente su fattori comuni, con l’obiettivo di creare una piccola mappa comportamentale e conoscitiva sul tema della protesica di gamba. Gli aspetti da tenere in seria considerazione sono:
- Età e sesso dell’atleta.
- Stato di forma attuale.
- Esperienze sportive pregresse sia come “normodotato” sia post amputazione.
- Tipologia di amputazione e, di conseguenza, di arto protesico.
- Tecnologia dell’arto protesico.
- Destinazione d’uso dell’arto protesico.
- Stato di comfort in presenza (e assenza) dell’arto protesico in un contesto collettivo.
Ognuno di questi temi merita un capitolo a parte e sarebbe degno, da solo, di un approfondimento molto esteso; un semplice articolo diverrebbe però una “laurea triennale” in protesica o tecnica ortopedica e non è questo l’obiettivo del nostro testo. Proveremo, pertanto, a strutturare una serie di indicazioni di massima, per ognuno dei temi trattati cercando di rispondere sinteticamente alla domanda “Quanto questo fattore incide sulla modalità di trattamento da tenere in presenza di un/una atleta con protesi di arto inferiore nella mia palestra?”.
Età e sesso dell’atleta
L’età anagrafica dell’atleta disabile incide proporzionalmente allo stesso modo dell’atleta normodotato. L’influenza anagrafica riveste, a volte, una grande importanza rispetto alla facilità o difficoltà con cui la persona si sente a proprio agio in un sistema collettivo come quello dell’attività sportiva di gruppo. In questo caso, la giovane età è indubbiamente un aiuto che permette mediamente di abbassare la soglia di imbarazzo: è più facile vedere un giovane in calzoncini, a proprio agio con la nuova protesi, di quanto magari potrebbe farlo una persona adulta o anziana, tendenzialmente più incline a coprire piuttosto che a scoprire le proprie difficoltà motorie, mascherandole. La forbice, un tempo, si ampliava ancora di più quando la disabilità veniva affiancata da una nuova, difficilmente riconosciuta, femminilità. Basti pensare che l’utilizzo di materiali in gomma-piuma e rivestimenti color carne, utilizzati fino a non molti anni fa su tutte le protesi, avevano l’obiettivo di simulare più possibile l’arto sano nel colore e nella forma, con l’obiettivo di rendere più facile l’utilizzo di indumenti scoperti come, non a caso, sono ad esempio le gonne. Oggi questo tema non è più un concreto tabù, anzi: lo stile di una protesi, il colore, il rivestimento, rappresentano un “plus” di prodotto che aiuta nel rientro nel quotidiano alle attività di tutti i giorni. Protesi colorate per bambini, per il nuoto, per lo sport, protesi con marchi legati alla moda, protesi senza rivestimento estetico, sono sempre più diffuse: la maggiore esposizione globale dell’arto protesico, lo ha reso meno imbarazzante da esporre, con una conseguente ricaduta sulle molteplicità di forme, colori e dimensioni.
Stato di forma attuale ed esperienze sportive pregresse sia come “normodotato” sia post amputazione
L’influenza dello stato di forma attuale rispetto all’attività sportiva, solo apparentemente sembrerebbe non presentare particolari punti di attenzione rispetto a quanto si vede nell’attività non adattata. In realtà i fattori di valutazione sono diversi e toccano la sfera del “com’ero prima dell’amputazione”, “come sono diventato dopo l’amputazione” e “come sto adesso”: in base al momento storico della propria vita in cui l’atleta disabile entra in contatto con noi, l’impatto e la conseguente reazione e realizzazione potranno essere diametralmente opposti. Chi subisce un’amputazione può trasformare radicalmente il proprio approccio all’attività fisica, nel bene o nel male, pertanto è necessario conoscere in dettaglio tutte le fasi del processo, con particolare attenzione a quanto lo stato di forma attuale possa inficiare proprio sulla vestizione dell’arto protesico: ingrassare o dimagrire repentinamente, porta ad una situazione di pessimo confort, su cui è bene restare attenti. Se ci troviamo davanti ad una persona che indossa una protesi in seguito ad una malformazione congenita o davanti ad un atleta disabile che fa sport da anni, anche in presenza di un handicap, è importante considerare come il resto del corpo si sia adattato negli anni e quali parti siano state più sensibilmente stressate: uno su tutti, l’altro arto inferiore.
Tipologia di amputazione e, di conseguenza, di arto protesico
Sostanzialmente, le protesi di gamba si suddividono in due tipologie: derivando dal tipo di amputazione che è stata realizzata, troviamo la protesi di tipo trans-femorale (amputazione sopra il ginocchio) e amputazione di tipo trans-tibiale (sotto il ginocchio). Queste due grandi macro-categorie determinano il grado di autonomia nella camminata, nella corsa, nel salto, nello squat e in tutti quei movimenti in cui sono interessati gli arti inferiori, con un evidente vantaggio dell’amputazione trans-tibiale rispetto a quella trans-femorale in termini di funzionalità e movimento adattato. In quest’ultimo caso, laddove l’amputazione è stata molto alta, ovvero nelle vicinanze del bacino, il moncone di piccole dimensioni non permetterà l’adozione di una protesi, riducendo notevolmente attività ed espressioni di forza della parte inferiore.
Tecnologia dell’arto protesico
Nonostante i cartoni animati ancora la raccontino, dobbiamo dirlo: la “gamba di legno” non esiste più! I materiali impiegati oggi sono quanto di meglio la tecnologia possa esprimere. Iniziamo dalla parte alta della protesi, l’invaso, ovvero il pezzo più artigianale, quello in cui emerge la capacità dell’ortopedico di cucire sul proprio assistito un oggetto gradevole da utilizzare: resine anallergiche, materiali morbidi per l’appoggio ischiatico e sul moncone e tutto quello che può servire per una calzata ottimale. Il ginocchio, poi, in base alle sue caratteristiche può essere realizzato attraverso meccanismi idraulici di varia natura, che consentiranno movimenti più o meno liberi e simili in tutto e per tutto a quanto è possibile fare con un arto umano, fino ad arrivare alle più moderne ginocchia elettroniche, perfette per la camminata ma sicuramente più delicate e “lente” per l’attività sportiva. In alcuni casi, specie per via di malformazioni congenite, è anche possibile che l’articolazione del ginocchio non sia stata prevista o adottata per scelta sullo specifico presidio, avente una funzione particolare. Oltre a diverse tipologie di mobilità articolare del piede, è bene tenere in considerazione anche la presenza o assenza di bustini ortopedici, che in alcuni casi aiutano a mantenere in asse l’individuo, scaricando la schiena, con un evidente impedimento dal punto di vista della mobilità.
Destinazione d’uso dell’arto protesico
L’ASL locale rilascia una serie di codici standard per l’adozione di una protesi. Solitamente quest’ultima è priva di elevati standard tecnologici, in virtù del fatto che il budget a disposizione per la realizzazione di un arto protesico, utilizzato dell’azienda ortopedica, è spesso limitato. Chi si troverà ad allenare una persona con una protesi adatta all’utilizzo quotidiano dovrà pertanto relazionarsi con le attenzioni tipiche di chi con quel “mezzo” deve vivere anche al di fuori del contesto sportivo. Né più né meno di un qualsiasi strumento di locomozione, come ad esempio l’auto. Diverso è il caso dell’arto sportivo. Nasce sulla base di esigenze specifiche dell’atleta, è tipicamente dotato di ausili di ultima generazione che migliorano sia la confidenza con l’oggetto sia le prestazioni all’atto pratico e, non ultimo, non rappresenta l’oggetto con cui si va ogni giorno a scuola, a lavoro, a fare la spesa, a prendere i bambini a scuola, pertanto la soglia di attenzione diventa inferiore e maggiori le soddisfazioni dal punto di vista atletico.
Stato di comfort in presenza (e assenza) dell’arto protesico in un contesto collettivo.
Ora che abbiamo conosciuto il nostro atleta sotto tutti i punti di vista, compresi quelli più tecnici sull’utilizzo della sua protesi, sfondiamo il tema pratico e terminiamo su quello più teorico, emotivo e relazionale. Mettere e togliere la protesi. Per alcuni può essere un tabù anche solo cambiarsi in spogliatoio: comprendere l’esigenza iniziale di un luogo “protetto” può essere positivo, anche se inclusione significa anche potersi cambiare d’abito tranquillamente senza essere fissati, come farebbe chiunque altro. A seconda della disciplina praticata, anche la possibilità di mettere e togliere la protesi durante la pratica sportiva, fa la differenza: in piscina come in palestra, la persona deve potersi sentire a proprio agio nel mettere e togliere con facilità l’arto protesico per effettuare questo o quell’altro esercizio, dove avere o non avere indosso la protesi, può fare la differenza a livello di prestazioni. Comprendere la sensibilità di ognuno diventa fondamentale perché in base a come ci relazioniamo da un punto di vista umano, possiamo adattare non solo i movimenti ma anche le emozioni che fare sport trasmette e permette di ricevere, in un continuo e proficuo scambio che solo questo meraviglioso contesto sa dare.
A cura di Andrea De Beni