Recupero attivo e passivo nell’allenamento: quale usare?
Il tema del recupero è ancora molto chiacchierato e discusso. In allenamento, scegliere la tipologia di recupero più adeguata risulta determinante per ottenere il proprio obiettivo. Quale sarebbe meglio utilizzare fra recupero attivo e passivo?
Per coloro che vogliono un aumento dell’ipertrofia muscolare è più consono il recupero passivo.
Al contrario, chi vuole migliorare l’ipertrofia sarcoplasmatica e condizionare l’apparato cardiovascolare è più consono un recupero attivo.
Ma non è tutto.
Recupero attivo e passivo in allenamento
Quante volte ci è capitato di vedere nelle sale pesi persone attente davanti ai loro cronometri per leggere quanti secondi rimanevano prima di riprendere una serie? Se siete dei frequentatori delle palestre vi sarà sicuramente capitato. Quando attendiamo che passi un certo tempo, dai pochi secondi a qualche minuto, parliamo di recupero passivo.
Invece, altre volte, si notano persone che passano da un esercizio all’altro con intensità più basse. Un esempio è quello di terminare una serie in palestra per poi salire su una cyclette o un tapis roulant e svolgere uno-due minuti di camminata o corsa. In questo caso, parliamo di recupero attivo.
Gli effetti del recupero passivo
Durante uno sforzo fisico intenso il nostro tessuto muscolare impiega il glicogeno accumulato nella fibro-cellula per produrre energia. Ad esempio, il glucosio viene via via utilizzato per produrre acido lattico che si accumula nel muscolo, come nel caso di una serie da dieci ripetizioni ad una macchina isotonica.
Quando questo avviene, cosa succede durante le fasi di recupero passivo?
Le cellule muscolari recuperano il glicogeno muscolare, ma solo una parte dell’acido lattico accumulato viene smaltito.
Prima regola che possiamo portarci a casa: il recupero passivo permette di ripristinare il glicogeno muscolare più in fretta del recupero attivo, ma non permette di smaltire altrettanto rapidamente l’acido lattico accumulato.
E il recupero attivo?
Se scegliessimo un recupero attivo nel caso appena esposto, avremmo un effetto differente.
Infatti, smaltiremmo più in fretta l’acido lattico rispetto al recupero passivo, ma non riusciremmo altrettanto rapidamente a ripristinare il glicogeno muscolare!
E quindi? Quale recupero utilizzare in palestra?
In palestra e nel caso di schede di allenamento per la massa muscolare risulta più congeniale una forma di recupero passiva rispetto a quella attiva. In qualsiasi corso per istruttore di bodybuilding si parlerà quasi sempre di recupero passivo tra le serie e molto meno di recupero attivo.
Ma se parliamo di altri sport, quali la corsa, lo sprint e via discorrendo, le cose non sarebbero propriamente così ben definite. Il recupero attivo in tal senso potrebbe rivelarsi la scelta migliore.
Basti pensare ai calciatori che tra uno scatto e l’altro recuperano continuando a muoversi nel campo. Utilizzano continuamente forme di recupero attive.
E nel basket? Idem.
Perciò il fatto che in palestra si utilizzi il recupero passivo non significa che sia applicabile sempre e in qualsiasi circostanza.
Pertanto è fondamentale pianificare e usare il recupero attivo e passivo in modo adeguato.
Infine, ricordiamoci che in alcune situazioni – come in particolari preparazioni fisiche per gli sport – il recupero passivo può influenzare il livello di efficienza specifico sportivo.
In cosa si traduce?
Nell’eseguire metodi di allenamento non conformi al modello di prestazione dell’atleta.
Come sempre invitiamo a ragionare in maniera complessa e non attraverso banali regole. E ricordiamoci che il recupero fisico è in grado di dirottare l’obiettivo finale dell’allenamento influenzandolo notevolmente!
A cura del Dottor Giulio Merlini