RPE: La scala di percezione dello sforzo
La scala di percezione dello sforzo, conosciuta con l’acronimo RPE (rates of perceived exertion), serve per aiutare chi si allena a monitorare l’intensità degli esercizi basato sulla percezione personale della fatica.
L’RPE è utilizzato sia negli allenamenti di tipo aerobico che negli allenamenti con i sovraccarichi, dalle alzate olimpiche passando per il powerlifting per giungere al powerbuilding e al bodybuilding.
Inoltre, le scale di percezione dello sforzo sono nate nell’endurance, ma nel resistance training presentano delle differenze da conoscere per poterle utilizzare al meglio.
Perciò, quantificare lo sforzo percepito è utile per programmare in modo corretto l’intensità degli allenamenti, preparatori atletici e personal trainer conoscono bene l’importanza di questo aspetto. Ad esempio, si potrà mantenere lo stesso sforzo per più sedute oppure diminuirlo per pianificare uno scarico dell’allenamento.
RPE: il mondo dell’endurance
Lo sforzo percepito durante il lavoro cardiovascolare è stato ben definito attraverso le Scale di Borg (Borg G., 1998). Utilizziamo il plurale poiché esistono due scale:
- Una scala di Borg originale con valori compresi tra 6 e 20;
- Un’ altra scala chiamata CR10 di Borg con valori da 0 a 10.
Nella figura sottostante sono riportate le scale con i punteggi associati alla relativa percezione dello sforzo.
La scala originale è associata alla frequenza cardiaca. Ad esempio, se il soggetto riferisce che l’allenamento è “un po’ intenso” sappiamo che la tabella ci restituisce un RPE di 13. Di conseguenza, moltiplicando il punteggio per 10 abbiamo un valore stimato di 130 battiti cardiaci.
Ricordiamo che l’associazione RPE/frequenza cardiaca è solo una stima poiché i fattori ambientali, come il caldo/freddo/l’umidità e il livello di condizionamento fisico possono alterarne la relazione!
Inoltre, la scala originale è stata ideata per monitorare gli allenamenti a sforzo graduale ed è utilizzabile nei soggetti relativamente giovani e allenati.
Infatti, se il nostro atleta avesse 60 anni la sua frequenza cardiaca massima sarebbe di 160 battiti al minuto (220-età). In questo caso lo sforzo percepito è rappresentabile meglio dalla scala CR10 di Borg che ha valori di RPE da 0 a 10.
Inoltre, quest’ultima è meglio associata alla fatica percepita rispetto alla frequenza cardiaca.
Infine, per quanto riguarda la capacità di valutare la fatica possiamo affermare che questa qualità si sviluppa nel tempo soprattutto per i soggetti non allenati. Spesso, le persone de-condizionate a frequenze cardiache intorno al 65% di quella massimale riferiscono un grande sforzo. Questo accade poiché non sono abituati all’allenamento e non sanno cosa vuol dire effettuare uno sforzo massimale.
RPE: il mondo dei sovraccarichi
La valutazione dello sforzo percepito nel mondo dei sovraccarichi si lega al tema dell’autoregolazione dell’allenamento.
Esistono diverse interpretazioni più o meno scientifiche e più o meno esperienziali nel variegato mondo dei sovraccarichi, mi limiterò a quelle che ritengo personalmente più utili e significative.
La più semplice definizione dell’autoregolazione prevede di utilizzare una scala da 1 a 10 dando un voto all’intensità della serie effettuata.
Nel web si trovano differenti interpretazioni, in particolare spesso viene definita:
- Più intensa una serie da 10 ripetizioni al 75% del proprio massimale;
- Meno intensa una serie da 8 ripetizioni al 65% del proprio massimale.
Questo concetto è applicato a diverse metodiche, per comprendere meglio facciamo un esempio: supponiamo di fissare un RPE di 8/10.
Ebbene, in un allenamento con metodica delle serie, supponiamo un classico 5 x 5, ogni set non sarà effettuato a sfinimento, ma sarà mantenuta una fatica di 8/10.
Ancora, lo si può applicare al ramping: ad esempio, con delle triple saranno eseguite 3 ripetizioni salendo progressivamente di carico ad ogni serie e raggiungendo un RPE di 8/10.
RPE: lo studio sull’intensità di carico
Dal punto di vista scientifico possiamo trovare conferma di quanto esposto sopra nel lavoro di Hiscock, Dawson e Peeling del 2015.
La sperimentazione prevedeva 6 gruppi di soggetti con modalità differenti di allenamento, i due più significativi per i risultati ottenuti adottavano il seguente protocollo:
- Il primo gruppo eseguiva 3 serie da 8 ripetizioni con 3 minuti di recupero al 70% di 1RM;
- Il secondo gruppo eseguiva 3 serie da 14 ripetizioni con 3 minuti di recupero al 40% di 1RM;
Notiamo che il volume di lavoro è identico per entrambi i gruppi.
Ebbene, il gruppo con il carico al 70% di 1RM è quello che ha percepito un valore più alto di RPE.
Di conseguenza, sembrerebbe che il fattore determinate nell’aumento dello sforzo percepito sia dato principalmente dall’intensità del carico utilizzato (Hiscock DJ, Dawson B, Peeling P., 2015).
L’RPE di Mike Tuchscherer
Una delle metodiche di autoregolazione è quella di Mike Tuchscherer, famoso Powerlifter, il quale utilizza il concetto di ripetizioni di riserva (repetitions in reserve o RIR).
Per comprendere come funziona questo metodo è necessario fare riferimento alla tabella della seguente immagine.
Nella tabella originale sono riportati valori di RPE da 1 a 10, qui per esigenze didattiche abbiamo apportato delle modifiche.
Ma come utilizzarla?
Ad esempio, Tuchscherer invita dopo aver eseguito una serie a rispondere alle seguenti domande per uno sforzo percepito come 9:
- Avresti potuto sicuramente effettuare ancora una ripetizione?
- Avresti potuto forse effettuare ancora una ripetizione?
Ebbene, nel caso la risposta fosse “sicuramente”, lo sforzo percepito è probabilmente 9 poiché la riserva è pari a una ripetizione. Al contrario, se la risposta fosse “forse”, allora l’RPE percepito è un po’ più alto ovvero 9,5 perché la riserva è meno di una ripetizione.
Infine, il massimo sforzo percepito è quello che non permette di fare alcuna ripetizione di riserva.
Insomma, per semplificare al massimo, possiamo riportare un’esperienza che è capitata quasi a tutti quelli che fanno pesi.
Facendo un 5 x 5 di panca piana con un determinato carico, vi è mai successo di finire la serie e dire: “avrei potuto farne ancora una /due…”? Ecco, questo è un modo istintivo e semplice di valutare l’RPE!
Ovviamente il protocollo di Tuchscherer richiede di seguire in modo strutturato il diagramma di flusso della sua tabella.
Inoltre, lo stesso autore concorda sul fatto che la pratica e l’esperienza permetteranno di valutare lo sforzo percepito in maniera più facile e precisa.
Conclusioni finali sull’RPE
Come abbiamo letto le scale di percezione dello sforzo per il mondo dell’endurance e dei sovraccarichi permettono di valutare l’RPE di un allenamento o di un determinato esercizio.
Inoltre, la percezione dello sforzo percepito è utile per regolare l’intensità degli allenamenti e sembra legato a parametri biologici come la frequenza cardiaca e la soglia di lattato.
Ancora, può essere utilizzata come indice di stress negli allenamenti con i pesi e dipende in maniera importante dall’intensità del carico utilizzato.
Infine, per usare in modo corretto l’RPE risulta evidente l’influenza di fattori ambientali esterni e la capacità di del soggetto di auto-valutarsi.
Proprio perché questi indici si affidano alla percezione personale, la capacità di valutazione si sviluppa con l’esperienza pratica e con il supporto di un allenatore o un personal trainer specializzato.
A cura del Dottor Stefano Murisengo
BIBLIOGRAFIA – REFERENCES:
- Borg G., 1998, Borg’s Perceived Exertion And Pain Scales. Campaing, IL; Human Kinetics.
- Earle R.W. & Baechle T.R., 2010, Il Manuale del Personal Trainer, Calzetti & Mariucci Editore.
- Hiscock DJ, Dawson B, Peeling P. Perceived exertion responses to changing resistance training programming variables. J Strength Cond Res. 2015 Jun;29(6):1564-9.
SITOGRAFIA:
- http://articles.reactivetrainingsystems.com/2017/12/05/how-to-use-rpe-in-your-training-correctly/#more-1229
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